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    In moto alla scoperta di sentieri sconosciuti, tra mare, montagne e deviazioni forzate

    Di Carlo Pettinato | 11 settembre 2022 | 1 min
    Moto: Honda Africa Twin 750 RD07 '93
    Chilometraggio: 900 km
    Difficoltà: alta, la traccia sconosciuta che abbiamo seguito ci ha portato su sentieri sconsigliati alle bicilindriche
    Durata: 4 giorni
    Periodo dell'anno: giugno
    Meteo: variabile
    Temperature: 20°C - 30°C
    Equipaggiamento essenziale: giacca e pantaloni traforati, giacca impermeabile, stivali da fuoristrada, casco adventure, zaino con sacca idrica, navigatore GPS, kit di attrezzi e ricambi essenziali per la propria moto, pneumatici tassellati

    Carlo Pettinato

    L'autore

    Carlo Pettinato, classe 1992, vivo per gli sport su ruote, con e senza motore, preferibilmente tassellate. Dal 2017 faccio parte del dipartimento marketing Dainese. Da che ho memoria, le mie passioni sono l’enduro, la mountain bike e i rally. Dopo anni sui campi di gara ho affiancato alla moto da fuoristrada una vecchia Honda Africa Twin. Mi si è aperto davanti agli occhi un nuovo mondo, assai più vasto e colorato. Quello delle esplorazioni. Partito dalla Sardegna, terra selvaggia a due passi casa, sogno le dune del deserto.
     

    Una volta qualcuno scrisse che esistono due tipi di viaggio: c’è chi è in vacanza e ha i giorni contati e un percorso da completare in un dato tempo, e poi c’è chi viaggia per il puro gusto di viaggiare e conoscere. Tra questi c’è una sostanziale differenza. Chi è in vacanza di solito ha fretta, chi è in viaggio solo per viaggiare può permettersi il lusso della lentezza, di assaporare le terre che attraversa, di conoscerne i popoli e se necessario di fermarsi. 

    Il secondo caso è con tutta probabilità per pochi, siano essi sognatori coraggiosi o privilegiati. Situazione ben più comune è la vacanza, una settimana o due per attraversare quella regione che da tanto ci attira. Poterlo fare in moto, piuttosto che con altri mezzi, è a mio modo di vedere una fortuna. Spostandosi in moto si vive la vacanza in modo diverso, non ci sono filtri tra noi e l’ambiente, si percepiscono odori e cambi di temperatura, ci sono concesse deviazioni improvvisate ed escursioni anche lontano dall’asfalto. 

    Dovendo rispettare un programma, però, è meglio sapere dove andare, avere una rotta da seguire. Per evitare di perdere mezze giornate a girovagare in tondo senza un’idea precisa di dove dirigerci. Oppure no?  Non è sempre vero che una traccia gpx sia sempre sinonimo di certezze? 

    La mia breve vacanza in Croazia di qualche tempo fa è la dimostrazione almeno per me che no, sapere dove andare non è sempre la scelta migliore e che, anzi, a volte la strada maestra ci porta a sbagliare. Ma partiamo dal principio. 

    All'assalto degli sterrati friulani
    All'assalto degli sterrati friulani

    Un fine settimana lungo in moto 

    Siamo io, Filippo e Francesco. Tre reduci sui cinque partecipanti del mitico giro della Sardegna di tre anni fa. Le moto sono 2 su 3 le stesse, tutte Honda degli anni ‘90, Africa Twin, Transalp, Dominator. Non abbiamo più tutti quei giorni a disposizione ma cerchiamo di trarre il massimo da un ponte del 2 giugno che cade di giovedì. La destinazione deve essere vicina, non possiamo permetterci intere giornate di avvicinamento autostradale o traghetti vari. Altro requisito essenziale è che ci sia del fuoristrada per portare a divertire le nostre vecchie motociclette, ma soprattutto noi. La risposta la trovate nel paragrafo sopra: Croazia. Bella, c’è il mare, c’è la montagna, dista tre ore di autostrada, i divieti al fuoristrada in moto sono meno stringenti che da noi, almeno così crediamo. Partiamo. 

    La giornata di avvicinamento in realtà c’è, ma la organizziamo in modo che sia già parte del “viaggio”. Ritrovo a Padova la mattina di giovedì 2 e autostrada solo fino in zona Pordenone. Qui mettiamo le ruote tra i sassi, quelli dei greti del Cellina e del Meduna. Seguiamo a naso alcune tracce dei 4x4 che corrono lungo gli argini più vicini al letto dei fiumi. Dal paese di Vivaro parte la nostra prima traccia gpx, cercata essenzialmente per attraversare il Friuli in modo alternativo ed evitare più possibile l’asfalto. La rotta va in direzione Buttrio passando a sud di Udine. Essendo una zona pianeggiante non ci aspettano sentieri o panorami mozzafiato, ma le larghe sterrate che attraversano i campi sono scorrevoli e piacevoli, soprattutto a pomeriggio inoltrato quando il sole inizia a calare e la luce cambia. Seguiamo la traccia solo fino nei pressi di Pozzuolo del Friuli per poi deviare verso il mare. La prima destinazione per la notte è Aquileia. Ne approfittiamo per attraversare Palmanova, splendida città fortificata veneziana nel XVI secolo, unica per via della sua pianta poligonale a 9 lati. La sera la passiamo invece a Grado, città di mare nata nel V secolo dove si trovano diversi scavi di mosaici antichi in pieno centro storico. Anche questa merita una visita, e come ogni centro turistico è pieno di locali per la cena. 

     

    Venerdì lasciamo l’alloggio in direzione Trieste, Dolina per l’esattezza, dove parte la vera traccia che siamo tanto ansiosi di scoprire. Un traccia messa assieme negli scorsi mesi da un quarto amico che ha dovuto dare forfait a pochi giorni della partenza, cui noi rendiamo onore andando all’avventura. Ed ecco ben presto la dimostrazione di cui scrivevo in apertura. 

     

    Traccia non è sinonimo di certezza 

    Lasciato l’asfalto ci arrampichiamo in salita per una sassosa strada carrabile che dopo nemmeno 100 metri incontra delle rotaie del treno. Il sentiero prosegue oltre queste rotaie, impensabile attraversarle con moto da 200 kg, anche perché qualche metro prima dei binari c’è uno sbarramento invalicabile per qualsiasi moto che non sia da trial. 1 minuto dopo la nostra vera partenza siamo già costretti alla prima inversione a U. Dobbiamo attraversare il confine Italia-Slovenia su asfalto e trovare il modo di ricongiungerci con il nostro percorso poco più avanti. Cerchiamo in ogni caso di evitare le vie di comunicazione principali in modo da godere, anche su strada, dei boschi e dei panorami di questa terra di confine.  

    Il piano è quello di tagliare di netto l’Istria e dirigerci direttamente verso la Dalmazia, teoricamente fin quasi all’altezza di Zara. Ma come da tradizione abbiamo accuratamente evitato di prenotare qualsiasi alloggio riservandoci di farlo all’ultimo minuto, più che altro per non essere costretti a correre per recuperare tempo e km persi. E forse, visti gli imprevisti che non tardano ad arrivare, abbiamo fatto bene. 

    Sconfiniamo dunque in Slovenia, dove riusciamo finalmente a mettere le ruote fuoristrada. Ci attende una larga e liscia sterrata carrabile che corre tra i pini marittimi, sopraelevata rispetto al livello del mare di poche centinaia di metri. Ogni tanto la strada esce dal bosco, attraversa una radura dalla quale ancora si scorge sulla destra il porto di Trieste con tutte le sue navi. Ora sì che iniziamo a sentire profumo di vacanza. 

    Sulle colline di confine tra Italia e Slovenia, sullo sfondo il golfo di Trieste si confonde con il cielo
    Sulle colline di confine tra Italia e Slovenia, sullo sfondo il golfo di Trieste si confonde con il cielo

    Chilometri più tardi, la traccia devia dalla via principale e si lancia in un sentiero scorrevole che rientra verso il verdissimo entroterra. La velocità media cala ma attraversiamo ancora boschi e radure di bellezza rara, la vegetazione e i profumi cambiano. Per un bel pezzo non incontriamo anima viva né segni di civiltà, oltre al percorso su cui stiamo guidando. Dovremmo ancora una volta attraversare il confine, questa volta Slovenia-Croazia, fuoristrada. Ma che si possa fare? Non c’è la dogana per entrare in Croazia? Ebbene sì, c’è la dogana e bisogna mostrare i documenti. Lo capiamo quando, ancora lungo il sentiero e in mezzo al bosco, ci troviamo di fronte ad un enorme cancello di metallo sbarrato, con recinzione alta tre metri e rotoli di filo spinato annessi. Altra inversione a U. Vedete? La traccia gpx non è sinonimo di riuscita dei piani. Torniamo sui nostri passi e a naso raggiungiamo l’asfalto, ancora lungo spettacolari sterrate carrabili che attraversano un bosco di faggi. Dogana tra Starod e Pasjak, documenti, e nel frattempo è l’ora di pranzo. Quanti chilometri abbiamo coperto finora? Meglio non pensarci. 

    In una trattoria senza pretese a Permani, cevapcici e maialino allo spiedo (ottimi) ci sembrano il minimo per rinfrancarci dopo una mattinata dolce amara che non ci lascia soddisfatti. Percorsi stupendi ma troppe deviazioni forzate e tanto tempo perso. Cercheremo di recuperare nel pomeriggio. La pausa pranzo è anche il nostro momento prediletto per la scelta della meta serale. Vista la media oraria tenuta fino ad ora, e senza avere idea di cosa ci aspetti, moderiamo la nostra ambizione e cerchiamo alloggio a Segna, sul mare, a un’ottantina di km più a sud. 

     

    Enduro estremo con moto da viaggio 

    Pomeriggio che parte bene lungo un sentiero lento e pietroso ma scorrevole, ancora immerso nella natura. Poco più avanti l’emozionante incontro con un piccolo gruppo di daini, il piacere ce l’ho solo io in quanto apripista, subito mi fermo per chiedere ai miei compari se siano riusciti a vederli ma al loro “Cosa?” capisco che non sono stati altrettanto fortunati. Attraversiamo un’altra splendida radura verdissima che sarebbe perfetta per il campeggio, se solo fossimo dotati di tende e fosse sera. Ma andiamo avanti, il percorso si stringe pericolosamente, corre a fianco al letto di un torrente asciutto, spunta qualche pietra ma è tutto fattibile. Do un’occhiata al gps e vedo la traccia salire pericolosamente perpendicolare rispetto le curve di livello. Iniziamo a preoccuparci ma da buoni enduristi quali siamo, forse, proviamo a proseguire. Anche perché siamo nel bel mezzo del nulla, e l’ennesima inversione significherebbe trovarci a metà pomeriggio ad avere coperto davvero pochissima strada. 

     

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    Il sentiero sale sul fianco della collina, sempre più stretto, ripido, sassoso e meno battuto. Ricordo che in due su tre guidiamo moto bicilindriche, adeguatamente tassellate e non particolarmente cariche, ma pur sempre bicilindriche e pure vecchie di 30 anni. Quando mi trovo a dover dare un colpo di reni per lanciare me e la moto oltre uno scalino di roccia e a pregare di non sbilanciarmi, mi rendo conto che quello che stiamo facendo ora è enduro vero, ma con mezzi fondamentalmente stradali. Non enduro impegnativo, per carità, con monocilindriche specialistiche di qui si passerebbe senza problemi, ma noi ora la cima siamo costretti a sudarcela. Passato quello che credo essere il peggio, fermo la moto e mi preparo a prestare una mano ai miei compagni, che fortunatamente passano indenni. 

    Ributto l’occhio al Garmin. Sì, si va proprio di qui. Quella che è diventata ufficialmente una mulattiera prosegue con dei micidiali tornantini da salire rigorosamente in prima e con la frizione in mano. Quando l’Africa accende la ventola di raffreddamento inizio seriamente a temere per la salute della frizione, cerco di usarla con parsimonia per non rischiare di bruciarla e ritrovarmi a piedi in mezzo ad un bosco dimenticato da dio. Ancora una pausa e pochi metri sotto di me sento l’inconfondibile rumoraccio di una caduta. È Francesco con la sua Dominator che si è sbilanciato nel mezzo di una curva a destra particolarmente pendente. Fortunatamente nulla di grave: pilota illeso, leva del freno anteriore spezzata circa a metà quindi ancora utilizzabile, specchio rotto e parafango piegato. Ne approfittiamo per prendere fiato, ci guardiamo tutti e tre con aria stravolta e mandiamo maledizioni all’assente che ha messo assieme la traccia. Piercarlo dove sei? Dovresti essere qui a soffrire assieme a noi. 

    La pietraia è lungi dall’essere finita. Mancano ancora tre o quattro di questi tornantini stretti e ripidi, poi le curve di livello mi dicono che le pendenze dovrebbero calare. Salgo lento e con la massima attenzione, una caduta qui in mezzo ai sassi con 230 kg di moto potrebbe essere rovinosa. Il fianco della collina spiana, tiro un sospiro di sollievo e finalmente inizio a rendermi conto di dove ci troviamo. Questa mulattiera sembra essere un’antichissima strada lastricata a tratti, segno di insediamenti umani che con tutta probabilità faceva il paio con i muretti a secco nel mezzo del bosco che avevamo avvistato prima di cominciare la salita. Un po’ di soddisfazione in mezzo a tanta fatica. Solo a questo punto oso pensare cosa sarebbe stato se il terreno fosse stato umido. 

     

    Dove il sentiero inizia a scendere un altro incontro mozzafiato. Non più daini ma un gruppo di cervi adulti con palchi di corna impressionanti. Liberi in un bosco di alberi bassi e con poco fogliame che lascia parecchia visibilità. Questa volta facciamo a tempo tutti e tre a fermarci e ad ammirarli mentre si allontanano da noi sospettosi. Un vero spettacolo, da pelle d’oca.  

    Poco oltre questo momento emozionante il sentiero incrocia finalmente una strada carrabile. La nostra traccia gpx volterebbe a sinistra, a salire ancora verso la cima del monte, chissà che vista ci aspetterebbe lassù, ma non abbiamo nemmeno bisogno di parlarne. Varrebbe la pena di tornare e completare il percorso, ma va fatto con moto più leggere. È ormai pomeriggio inoltrato, siamo fradici di sudore e crediamo fermamente che l’ultima ora sia valsa una giornata intera di fuoristrada. Prendiamo a destra e torniamo verso la civiltà. Morale della favola: rimettiamo le ruote sull’asfalto a pochi chilometri da dove abbiamo pranzato, per una media oraria pomeridiana che probabilmente si aggira attorno ai 10 km/h. Ora Google Maps e via diritti verso Segna. La strada costiera unita al clima mite e alla luce che quasi diventa quella del tramonto trasforma la discesa verso il nostro fine tappa in un’ora di totale relax.  

     

    Un improvvisato collage di sterrati croati 

    Cena uguale a momento di riflessioni per raccontarci e ricordare ancora quello che abbiamo passato, come se ce ne fosse bisogno. E anche per tentare di capire cosa fare del resto della nostra vacanza. Nel frattempo sulla nostra tavola a pochi metri dal bel porticciolo di Segna arrivano piatti di calamari alla bùzara, calamari ai ferri, polpo con patate e antipasto con razza sott’olio e altre prelibatezze.  

    Di completare il giro non abbiamo alcuna speranza. Al termine della prima tappa croata siamo forse a metà del percorso previsto inizialmente e la fiducia sul prosieguo del viaggio inizia a scemare. Ma davanti abbiamo ancora due giornate da sfruttare, quindi decidiamo per un taglia e cuci improvvisato tra le rimanenze del tragitto del day 1, da percorrere in senso opposto, e la santa TET, Trans Euro Trail, che passa non lontano da qui. A monte tutti i piani di mesi. 

     

    Il terzo giorno, secondo in Croazia, parte quindi salendo sulle montagne sopra Segna, tracciati scorrevoli con vista sul mare e sull’isola di Krk. Torniamo verso nord, oggi, seguendo solo larghe sterrate carrabili tra boschi di faggi alternati a boschi di conifere. Strade da mondiale rally, pensiamo noi. Alterniamo la nostra traccia alla TET in un collage che riesce sorprendentemente bene, con una sola inversione forzata dovuta ad una sbarra ad inizio sentiero e pausa pranzo a Delnice. Siamo ancora nel bel mezzo del nulla quando il Garmin mi suggerisce di lasciare la via principale e di inerpicarci nel bosco di pini lungo una mulattiera che appare scorrevole. Proviamo. Saliamo per un paio di chilometri ed un’altra deviazione vorrebbe portarci verso un single track che di nuovo ha tutta l’aria di un vero percorso da enduro. Non ci facciamo ingannare, torniamo sulla strada principale e proseguiamo a naso verso il nuovo fine tappa identificato in Rijeka. Scopriamo poco più avanti di essere nei pressi del confine con la Slovenia, in corrispondenza dell’Altopiano di Gumance. Una splendida ed enorme radura verdissima nel mezzo della foresta con rovine di edifici in pietra che un tempo probabilmente erano davvero un’antica dogana. Qui anche una vecchia cava che non posso esimermi dall’esplorare in moto. Mi addentro tra pozze e cumuli di ghiaia fino a rimanere insabbiato. Chiamo aiuto, incasso le parole dovute e in tre traiamo in salvo la mia Africa Twin. 

    Serata di nuovo vista mare nella bella ma trasandata Fiume. Altri calamari ai ferri ci riempiono la pancia mentre stiliamo per l’ultima giornata un programma del tutto atipico e poco in linea con l’intento avventuriero del viaggio. Visita all’Automotodrom Grobnik, il mitico autodromo di Rijeka inaugurato negli anni ’70 e dove fino al 1990 si è corso il Gran Premio di Jugoslavia del motomondiale. Un pistone largo e veloce, “da pelo” per dirla come dicono i gergo gli appassionati. Veniamo non solo per l’importanza storica del luogo, ma soprattutto per incontrare un amico ed ex collega che è qui con la sua moto da pista. Mattinata alternativa, piacevole pranzo sulla collinetta vista track day e si parte per tornare a casa. Riusciamo ad evitare la colonna in dogana passandola sullo stretto e sperduto valico di Podgorje, quando arriviamo la fila è di tre auto. 

    Da Trieste in poi solo autostrada, per fare prima e per ricordarci quanto le nostre moto vecchie di trent’anni siano ancora affidabili e versatili. Con quanti altri mezzi saremmo riusciti a passare dalla mulattiera a tornanti dell’altro ieri alla A4 Torino-Trieste?  

     

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    Come preparare pilota e moto al viaggio 

    Se sulla moto nell’ambito di un’unica vacanza di quattro giorni c’è ben poco da fare, e tutta la preparazione e la scelta degli pneumatici va fatta a monte, preparare sé stessi al variare delle condizioni è importante per non trovarsi spaesati di fronte a cambi del meteo o altri imprevisti. 

    Per questo giro in moto in Croazia a inizio giugno ammetto di essere stato un po’ ottimista, riguardo più che altro le temperature. Erano previste massime sotto i 30°C quindi ho optato per un completo quattro stagioni, utilizzato nella sua configurazione più estiva con tutte le prese d’aria aperte. Per via della guida intensa fuoristrada, però, ho sofferto il caldo per una buona parte del tempo. Mi sono trovato in perfetto comfort solo ogni tanto, lungo i tratti più in quota e solamente all’ombra in mezzo ai boschi. Per far passare più aria nei tratti da bassa velocità ho dovuto spesso guidare con la giacca mezza aperta. Con un completo estivo traforato sarei stato sicuramente meglio, magari con l’aggiunta di uno strato per i trasferimenti serali.  

    Gli stivali da motocross invece sono i miei prediletti per qualsiasi giro adventure. Mi trovo bene per abitudine, li uso da sempre con la moto da enduro e per me sono come scarpe da ginnastica. Preferisco cedere qualcosa in praticità ma guadagnare il massimo della sicurezza e della fiducia quando la questione si fa seria fuoristrada. Ok la scelta di casco adventure, che coniuga la comodità di uno stradale con la ventilazione e il frontino di uno da cross, e di guanti da fuoristrada con protezioni rigide sulle nocche. 

    Io non parto mai per giri come questo senza il mio zainetto con sacca idrica da 2 litri. Sono abituato a bere molto e avere acqua sempre disponibile per me è essenziale. Inoltre è comodo per riporre oggetti che potrebbero servire spesso, come guscio impermeabile, portafoglio, power bank, occhiali da sole ecc.  

    Rispetto la preparazione delle moto, essendo stati lontano da casa solamente tre notti, c’è poco da dire oltre la scelta degli pneumatici. Per questi brevi viaggi misti strada-sterrato io opto sempre per gomme tassellate aggressive, su asfalto durano poco è vero, ma preferisco essere sicuro e divertirmi fuoristrada. In questo specifico caso, per i sentieri che abbiamo affrontato, le Mitas E09 sono state una scelta ottima, sicuramente tra gli pneumatici più fuoristradistici per questo tipo di moto.  

    Per il resto è bastata una sacca legata a dovere sul portapacchi. Una cinghia e il ragno elastico l’hanno tenuta perfettamente in posizione per tutto il tragitto. Dentro questa ho infilato assieme ai cambi di vestiti direttamente il mio marsupio da enduro, dove tengo gli attrezzi essenziali per uscite e gare. Cacciavite a taglio, a croce, pinza con trancino, forbice, chiavi inglesi da 8, 10, 11 e 13, chiave per il dado della ruota posteriore, set di brugole, filo di ferro, fascette e qualche vite e dado misti. Con questo set me la cavo bene o male sempre, pur non avendo grandi doti di meccanico. Nel sottosella della moto: pompa benzina di ricambio (uno dei due difetti della vecchia Africa Twin è quello di rompere la pompa della benzina, l’altro è il regolatore di tensione), nastro americano, nastro isolante, altre fascette e due bombolette di gonfia e ripara in caso di foratura. Queste ultime spesso inutili ma non sempre. Ho invece rinunciato alla mia fedele borsa da serbatoio, molto utile ma scomoda quando si deve fare del fuoristrada e guidare in piedi. 

    Sul manubrio: porta telefonino sul lato sinistro, utilizzato solamente per i trasferimenti su strada con Google Maps; lettore gps Garmin sul lato destro, utilizzato per tutti i tratti fuoristrada ove avessimo una traccia da seguire. 

     

    Ed eccoci alla conclusione. Questa benedetta traccia. Ha fatto più bene o più male? Se Piercarlo non avesse trascorso la primavera a pianificare il viaggio, sicuramente nemmeno saremmo partiti (senza di lui peraltro). Quindi sì, è stata essenziale per la riuscita del nostro fine settimana lungo. Ma posso dire con certezza che la maggior parte dei tratti di fuoristrada più belli e piacevoli, per le moto che guidavamo, li abbiamo trovati muovendoci a naso tra mare e montagne croate. Quindi che fare? Non si può trarre una vera conclusione. Se disponete di tracce collaudate da viaggiatori affidabili seguitele, ci mancherebbe. Questo però toglie quella parte d’improvvisazione che, se sul momento può sembrare una frustrante perdita di tempo, alla fine come il sale dà gusto in più a tutta l’avventura. E allora, che sappiate metro per metro dove vi state dirigendo o no, l’importante è partire. 

    Equipaggiamento essenziale

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    Casco Adventure

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    Giacca ventilata

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    Pantaloni in tessuto

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    Stivali adventure

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    Paraschiena

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    Guanti in tessuto

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    Maglia tecnica

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    Zaino con sacca idrica

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