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    Da protezione, a concentrato di tecnologia e soluzioni vitali

    Di DemoneRosso | 29 gennaio 2021 | 1 min

    Sei sul rettilineo principale della tua pista preferita, il tachimetro segna ben oltre i 250 chilometri l’ora. Sei rannicchiato sotto il cupolino della tua moto, ma per qualche istante puoi tirare il fiato e rilassare i muscoli. Si fa per dire, ovviamente. In ogni caso, l’aerodinamica perfetta della carena e l’integrazione con il casco e la tuta ti permettono di non lottare per tenere la testa e tutto il corpo in posizione. Ma è sempre stato così?  

    Fino alla fine degli anni 80 era tutta un’altra storia. Lo studio aerodinamico delle moto da corsa e sportive era ancora ad uno stadio primordiale, mentre i produttori d’abbigliamento e protezioni non avevano ancora mosso alcun passo in questa direzione. Tenere il corpo in posizione sui rettilinei non era uno scherzo. In particolare la testa, tendeva a destra e a sinistra richiedendo un grande sforzo dei muscoli del collo per rimanere dritta. 

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    Ecco che, nel 1988, sulle tute dei piloti Dainese arriva la gobba sulla schiena. Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la gobba non è stata introdotta per scopi aerodinamici. Questo inserto, inizialmente in gommapiuma fu introdotto pensando alla sicurezza 

     

    Arriva la gobba, un’estensione del paraschiena 

    Sul finire degli anni ottanta si era ancora alla ricerca della protezione ottimale della schiena. Un decennio prima era arrivato sui circuiti il paraschiena, il primo vero dispositivo di protezione individuale per il motociclismo, una rivoluzione. Questo però non poteva e non può estendersi fino alle ultime vertebre toraciche poiché, in caso di particolari flessioni del collo, potrebbe rivelarsi dannoso per le vertebre cervicali. Come fare dunque? La soluzione ideata da Dainese fu appunto quella di una gobba in materiale morbido, per proteggere dove il paraschiena non può arrivare. 

    La sua realizzazione in gomma piuma molto consistente permette di assorbire ottimamente i colpi, ed è sagomata in modo da non interferire con alcuno dei movimenti del pilota, per garantire sempre la massima libertà e comfort. 

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    Il primo pilota a portarla in gara fu il bolognese Pierfrancesco Chili, che in quell’anno, il 1988, era frequentatore assiduo della top 10 nella classe regina del motomondiale, la 500. Ma fu solo qualche anno più tardi che si compresero tutte le vere potenzialità di questa nuova protezione. Ci volle Jean Philippe Ruggia, già passato alla storia come il primo pilota a toccare a terra con il gomito, per svelare il segreto che la gobba teneva in serbo.  

     

    Lo studio sull’aerodinamica 

    Il pilota francese, dopo aver provato la sua nuova tuta con la gobba, notò che la testa acquisiva molta più stabilità alle alte velocità, quando si trovava accucciato in carena per fendere l’aria. Non dover più correggere le infinite oscillazioni del capo si traduceva automaticamente in un grande beneficio in termini di concentrazione e risparmio di energie. Alla fine di ogni sessione i muscoli del collo erano enormemente meno affaticati, con conseguenti guadagni in performance e sicurezza 

    Fu da questo momento che gli studi sulla gobba si sdoppiarono, facendola diventare un dispositivo con doppia funzione: prestazioni aerodinamiche e protezione. La ricerca in galleria del vento la portò a metà degli anni novanta a modificare la sua forma. La nuova gobba era più lunga e affusolata per raccordare al meglio cupolino della moto, casco e schiena del pilota. 

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    Un concentrato di tecnologia: D-air, Pro Com e tanto altro 

    Con l’arrivo del nuovo millennio la gobba assunse un ruolo sempre più importante. Con i test sul neonato Dainese D-air® si pensò subito alla gobba come contenitore per la centralina e i sensori del sistema airbag. Si era dunque arrivati ad un vero e proprio contenitore di tecnologia concentrata, utile per scopi sempre nuovi. 

    Alcune tute, ferme allo stadio prototipale, videro sfruttare questo volume sulla schiena per integrare i sensori del sistema Pro Com, un sofisticato sottotuta ricco di sensori per monitorare i parametri vitali del pilota. Più tardi arrivò la tuta con sistema di raffreddamento integrato, anche questa ferma allo stadio di prototipo, che collocava sulla gobba un vero e proprio radiatore per smaltire l’eccesso di calore durante le gare più calde. 

    Dopo le centraline di D-air®, Pro Com e l’inedito radiatore, la gobba fu sfruttata per l’inserimento di una sacca idrica. La nuova borraccia, tutt’ora in uso dai piloti, può essere collegata al casco tramite il sistema d’idratazione integrato in quest’ultimo e permette di dissetarsi direttamente in pista. Un dettaglio vincente, molto usato soprattutto duranti i Gran Premi corsi in climi torridi come quello della Malesia. 

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    L’ultimo step: il led di sicurezza 

    L’ultima evoluzione risale al 2016, anno in cui fu presentata la nuova tuta Mugello R. La gobba della Mugello R, oltre alla centralina D-air® e alla sacca idrica, integra un led trasversale che si accende in caso di caduta per rendere il pilota più visibile ad altri che dovessero sopraggiungere, fattore essenziale soprattutto in condizioni di scarsa visibilità. 

     

    Nel corso di tre decenni, assieme ai mezzi meccanici, l’abbigliamento e le protezioni sono stati protagonisti di un’evoluzione esponenziale. La gobba non fa eccezione: è passata da semplice pezzo di spugna sagomato, ad essere un contenitore di tecnologia estremamente avanzata e soluzioni vitali per l’utilizzo in pista, per i piloti professionisti così come per gli appassionati. 

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