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    Un viaggio insolito a bordo della BMW R18 Transcontinental

    Di Laurent Cochet | 07 giugno 2022 | 1 min
    Moto: BMW R18 Transcontinental
    Chilometraggio: 4.500 km
    Difficoltà: facile, strade asfaltate aperte a tutti
    Durata: 14 giorni
    Periodo dell'anno: marzo, ma è preferibile da maggio in poi
    Meteo: per lo più soleggiato, con due giorni di pioggia
    Temperature: da 0° in quota a 20° sulla costa
    Equipaggiamento essenziale: Giacca e pantaloni comodi sia quando fa freddo che quando fa caldo. Il completo Antartica ha dimostrato di essere incredibilmente efficace in queste condizioni. I suoi inserti impermeabili in neoprene su polsi e caviglie mi hanno protetto dalle intemperie. Menzione speciale anche per il giubbotto in pile che è molto caldo e può essere usato da solo come giacca da sera. Le manopole riscaldate mi hanno permesso di usare guanti leggeri.

    Laurent Cochet

    L'autore

    Appassionato di moto e di viaggi, amo incontrare persone in Francia e nel mondo. Un giorno ho trovato l'alchimia per unire alla perfezione questi tre elementi: raccontare storie. Che si tratti di scrivere libri, scrivere su un social network o realizzare video per YouTube, sono prima di tutto un narratore.

    In un momento storico in cui tutti si danno al trail riding. In un momento in cui tutti cercano il miglior pneumatico off-road per affrontare i sentieri più fangosi. In un momento in cui tutti postano foto e video sui social dei loro migliori percorsi fuoristrada. In questo momento storico, io ho deciso di portarvi altrove. Di seguire un’altra pista. Una pista chiara, ben tracciata, che quindi oggi pare deserta, addirittura dimenticata. 

    In effetti, più che portare, credo che il termine da usare sia “tornare”. Tornare all'aspetto epicureo del viaggio. Ve lo ricordate, il comfort? Sì, lo so: sembra acqua passata. 

    Quella cosa che tutti chiedevano a tutti i costi da una moto solo 10 anni fa. Non sentire la pressione del vento, non avere dolori al fondoschiena e alle braccia perché il manubrio è troppo così o alle gambe perché le pedane sono troppo cosà. E bla bla bla. Quella cosa che ha portato alla creazione di moto incredibili come la K1600GT o la R1250 RT. Ve la immaginate la faccia degli ingegneri quando, dopo essersi spremuti le meningi per ottenere specifiche così precise e di alto livello, hanno capito che adesso vanno (quasi) di moda la semplicità e la privazione? 

    Così per un attimo, quell’attimo che basta per un road trip, ho voluto ritornare all’aspetto epicureo del viaggio. Dopotutto, non tutti amano il fango e le strade sterrate in ogni occasione. Anzi. Quindi vi parlerò di comfort, di accoglienza, bella vita, protezione e, perché no, anche di musica, senza esagerare. Per il mio Road Trip, ho messo gli occhi sulla moto più scultorea e fenomenale presente sul mercato: la BMW R18 Transcontinental. 

    La BMW R18 Transcontinental lungo il Sentier des Douaniers, il punto più settentrionale della Corsica
    La BMW R18 Transcontinental lungo il Sentier des Douaniers, il punto più settentrionale della Corsica

    427 chili con il pieno, 203 chili di carico utile. 1802 cm3, 16 kgm di coppia, 1695 mm di interasse, uno schermo TFT migliore di un televisore curvo 8K! Un interasse di 1,69 m, lunghezza totale di 2,6 m, rivestimenti in pelle, impianto audio Marshall. Considerati tutti questi comfort... Questa sì che è una moto, no? Ma cosa fare con la mia Transcontinental? Con un nome così evocativo, me lo sono chiesto a lungo! America, Antartide, Oceania, Asia? Non è facile, in questo momento. 

     

    Una traversata continentale... in Francia 

    Poi, curiosando in giro, ho scoperto una cosa. “Un continente è la più vasta delle ripartizioni con le quali si suddividono le terre emerse della crosta terrestre”, dice il mio amico Wikipedia. A queste sono attaccate le isole vicine. Ah sì? Davvero? Così sono andato a guardare la definizione di isola (no, non mi accontento mai). “Nel senso comune o scientifico, le isole non fanno parte dei continenti perché il loro territorio non è una continuazione di quello del continente. Sono quindi generalmente considerate come appartenenti al continente a cui sono più vicine”. Lo sapevo! Ne ero sicuro. Le isole sono continenti! È solo per comodità o pigrizia che non le consideriamo tali! 

    Così, in modo unilaterale e insindacabile, ho deciso di portarvi con me nel mio personalissimo viaggio transcontinentale. Mi seguirete per una lunga strada, tra acqua, isola... anzi, “îles” (isole) diverse.  

    Ho cercato. Un po'. Ovunque. Non lontano da dove lavoro ci sono l'Île Saint-Germain, l'Île Monsieur, l'Île de la Jatte, l'Île des Impressionnistes, l'Île Saint-Louis. Tutte sulla Senna. Tutte percorribili in moto. Un po' più avanti c’è anche l'Ille-et-Vilaine. Si pronuncia come la parola “île” (isola), ma non è un’isola.  

     

    Una moto nata per le lunghe distanze 

    E così sono scappato. Ha lasciato l'Île-de-France per prendere l'autostrada A13. Penserete che ho provato tutto nella vita, ma in realtà la mia R18 mi ha stupito ben due volte. La prima è stata quando la velocità ha iniziato a diminuire mentre guidavo tranquillo a 130 con il cruise control... Il cruise control adaptive si era appena attivato per via del veicolo davanti. La moto ha una modalità di intervento "comfort" e una più dinamica. Efficace. La seconda sorpresa è stata quando ho erroneamente toccato il pulsante dei fari a lungo raggio. Tutto intorno a me si è illuminato: ho pensato che un A380 stesse atterrando su di me, perché una luce così non l’avevo mai vista! Lo ammetto: tutta questa modernità in una botta sola mi ha disorientato. 

    Ho tenuto il cruise control a 130, cioè 2.800 giri/min. Sì, avete letto bene. Questo enorme motore ha il cuore di un maratoneta. Cammina a passi lunghi e tranquilli, si prende il suo tempo. Poi è scesa la notte. Ho impostato le manopole riscaldate all’intensità di tre pallini e via. 

    Ho giocato con la mappatura del motore. La modalità Rain è quasi inutile, perché ti priva del sano e affascinante rombo del Big Boxer. La modalità "Roll" è molto più bella. Per quanto riguarda la modalità "Rock", è pesante, con un rombo affascinante e una ripresa incredibile per spostare 420 chili di moto più 75 di pilota. Proprio come i bambini, appena ho un gioco ne cerco subito uno nuovo. Perché no, del resto? C'è un piccolo indicatore sul cruscotto chiamato "Power Reserve".

    Un piccolo omaggio di BMW al marchio Rolls-Royce (nelle Rolls, il Power Reserve è l’indicatore di potenza massima che sostituisce il contagiri). La Power Reserve indica la % di potenza rimanente nel momento T. A che serve? A niente. Però è impossibile non giocarci con un sorriso enorme e stupido stampato in viso. È lì per farti divertire. In modalità Rain. In modalità Rock. E se vado a tutto gas? E se scalo una marcia? E se salgo di marcia? Tante domande filosofiche (a cui però si può dare una risposta, a differenza della filosofia) che bastano a farmi scoppiare di felicità. Direte, ti basta poco... Sì, e allora? 

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    Terre dimenticate 

    Sarei potuto arrivare alla fine del mondo, ma vi ricordo che stavo cercando un altro continente, quando... ho visto un cartello che indicava che ero “vicino all’Île du Cotentin”. Vicino, vicino... Hanno un concetto strano di “vicino”! L’ho cercata dappertutto. Davvero, dappertutto. Fino a Saint-Vaast-la-Hougue, eletto comune preferito dai francesi nel 2021! Mah. Sarà. Se lo dicono loro. Ma in Francia, chi lo conosce il Cotentin? Ve lo dico io: nessuno. È quel pezzetto che gli studenti francesi si dimenticano sempre di disegnare quando, durante la lezione di geografia, la prof chiedeva di tracciare il profilo della Francia. 

    Non che poi crescendo ci si liberi da questa ignoranza. Per il Cotentin non ci si passa per caso. Devi proprio volerci andare. È una scelta, perché alla fine non c'è niente e bisogna tornare indietro. Quindi se ci vai, c’è sempre un motivo. Comunque, con il suo porto pittoresco, la sua drogheria Gosselin e le sue torri Vauban, Saint-Vaast merita davvero una visita. Ho spento il motore alle 21, mi sono sistemato in una piccola locanda, ho dormito come un ghiro (odio questa espressione perché li immagino trafficare in soffitta, altro che dormire!) e mi sono alzato presto il giorno dopo per partire per l'isola di Tatihou. 

    Ah, non ve l’ho detto. Entrando a Saint-Vaast, proprio dietro il grande cartello "comune preferito da bla bla bla" ce n'era un altro che diceva "Île de Tatihou". La mia immaginazione ha iniziato a correre. Tatihou, Tahiti... Simile, no? Le isole, però, possono essere sinonimo di due cose: vacanze o inferno. Per Tatihou vale il secondo caso. Tatihou è stata una zona di quarantena per gli equipaggi provenienti dal Mare del Nord durante la peste, un campo per i prigionieri di guerra tedeschi durante la seconda guerra mondiale e un centro di rieducazione per adolescenti in difficoltà. Dato che è accessibile solo con la bassa marea, attraversando parchi di ostriche, tutti gli adolescenti fuggiti sono stati rapidamente individuati e riacciuffati. Capite bene che non potevo non essere attratto da un posticino così tranquillo. Ed è così che ho finalmente scelto la mia prima isola, il mio primo continente, da percorrere con la mia BMW R18 Transcontinental. 

     

    Purtroppo, però, non è permesso andarci con un veicolo a motore. Che stupidaggine! Forse perché non ci hanno mai provato. Sarei stato felice di essere il primo. Dato che ti ci porta una barca anfibia a ruote, perché non posso andarci con la mia R18? Ma bisogna saper perdere.  

    In assenza dell'isola e di un continente, sono andato in direzione di Réville e del suo bunker ridipinto a forma di coccodrillo, con la bocca spalancata rivolta verso il mare. E poi: Barfleur, il faro di Gatteville, l'Anse du Brick e la sua piccola foresta degna di Brocéliande, la rue du Nez e la sua diga battuta da ogni tempesta, accanto alla superba spiaggia di Nacqueville e le case dal fascino vittoriano, il faro di Goury, il porto Racine, il porto più piccolo di Francia, le dune di Biville... Datemi retta: non venite! Potrebbe piacervi e la regione potrebbe diventare turistica. Sarebbe un peccato. 

    Davanti al mare, al riparo dal vento tra due dune, ho spazzolato una dozzina di ostriche di Saint-Vaast e ho dato un'occhiata al menu. Ok, avevo fallito nella mia scoperta dei continenti, ma ero ancora pieno di risorse. Erano già le 8 di sera, Nantes (la mia prossima fermata) distava solo 366 chilometri, ovvero 3 ore e 40 minuti. Con la punta delle dita, ho fatto ruotare la rotella sul cruscotto, mi sono fermato sulla musica di Jack White, ho ingranato la sesta e mi sono goduto questo momento, ben coperto, mentre fuori c’era un tempo uggiosissimo.  

     

    Il nostro (mio e della R18) primo continente 

    È fatta. Dopo la cocente sconfitta di Tatihou nel Cotentin, sono finalmente riuscito a cambiare continente con la mia BMW R18 Transcontinental! Finalmente sono riuscito a raggiungere un pezzo di terra. L'Île-d'Yeu 

    Niente a che vedere con Ré, Oléron, Noirmoutier! Non ci sono ponti qui, e naturalmente il turismo scarseggia. Almeno, in questo periodo dell’anno. Yeu è un'isola di 23 km2, con un massimo di 5.000 abitanti. Molte strade diventano sterrate. Ci sono dei veri e propri punti panoramici sull’Atlantico. L’unico rettilineo permette a malapena di ingranare la terza. 

    Il faro di Port de la Meule sull'ile d'Yeu. Salendo, puoi anche dominare la superba cappella di Notre Dame.
    Il faro di Port de la Meule sull'ile d'Yeu. Salendo, puoi anche dominare la superba cappella di Notre Dame.

    Nessuna stazione di servizio di grandi marchi, la Super 95 a 2,50 euro. Tutto ciò che arriva qui viaggia sulla Insula Oya II, una nave mercantile dal fascino anni '80. Quando qualcuno arriva a Yeu, si ha l’impressione che sia alla ricerca di qualcosa: di isolarsi, fare il punto della situazione, scrivere un nuovo romanzo, dipingere un nuovo quadro. O sfuggire per un attimo dalla follia del mondo. 

    Direte: ma che ci faceva lì uno zotico come te? E avete ragione. Per il cambio di scenario, per la sensazione di viaggiare lontano con la mia Transcontinental a solo un'ora e quindici minuti di nave mercantile. “L'avventura” inizia alle 5 del mattino a Nantes. Non c'era tempo per fare colazione, ma la signora della reception non ha voluto offrirmi un pain au chocolat, con la misera scusa che avevo scelto "Ibis Budget" e non "Ibis Style". Non c'è davvero limite all'avarizia. 

    Il tempo è cupo: inarco un po' le spalle, abbasso la testa e mi dirigo verso Fromentine, il porto d'imbarco. Alle 7 del mattino, mi viene segnalato di avanzare verso la piattaforma. Una grande rampa si apre sul lato della barca e mi viene fatto cenno di salire a bordo. La rampa di metallo è molto scivolosa, quindi mi assicuro di avere una buona presa. Arrivo su un montacarichi. 

    Dall'alto del suo comando, un tizio aziona l'ascensore che mi porta giù nella stiva. Lo stesso tizio aggancia la mia moto con un’attenzione davvero opinabile. Salgo due rampe di scale. Niente bar, niente casinò: solo vecchie panchine marroni in pelle consunta. Mi appoggio alla borsa e ne approfitto per concludere la serata. 

    Giuro che mi sento come se fossi su una nave da carico che attraversa l'Atlantico. Il dolce ronzio dei due grandi motori AGO, ciascuno da 2.000 cavalli, mi culla nel sonno. Questa potenza sovrumana ma placida mi ricorda la mia Transcontinental. Alcuni dicono che questa moto è troppo pesante. Che una custom non è una moto. Che quando ci si può permettere una moto del genere, non si è alla ricerca di un’avventura, ma di un hotel di lusso! Ma davvero stiamo ancora a dividere le moto per categoria, e così il mondo? 

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    Vi invito a provare un power cruiser come la Transcontinental. E non per qualche minuto: almeno per un’ora. 1.800 cm2 alloggiati in due cilindri. Due pistoni di 107 mm di diametro su una corsa di 100 mm possono produrre solo una sensazione: una coppia grassa e sporca. Se la cosa non vi colpisce, non ho più niente da dirvi... Anzi, sì. C’è il peso di questo bestione: 420 chili. L'unico momento delicato è quando bisogna metterla sul cavalletto. 

    Ecco un consiglio: girate sempre il manubrio verso il bloccasterzo, altrimenti vi sbilancerete. Una volta avviata, la moto non pesa nulla. E nelle inversioni a U? Un po' di freno posteriore (difficile da attivare, è una delle poche cose negative di questa moto), due dita sulla frizione e gas, e farà tutto da sola.  

    Il commento migliore che ho letto? "Con qualche chilo in più, sarebbe una macchina”. La verità è che chi guida bene con un mezzo così grande dimostra di padroneggiare tutti i principi alla base della guida in moto. 

    L'Insula Oya II suona due volte il suo “corno da nebbia”: l'île-d'Yeu è davanti a me. Per prima cosa, mi risveglio delicatamente dal mio torpore. Ho molto lavoro da fare per filmare e raccontare questa avventura, ma questa bella isola mi invita anche a concedermi del tempo. L'Amie Câline (una grande panetteria sul porto) è aperta. Sto guardando un pain au chocolat gigante quando il proprietario, Benjamin, mi dice: "Lolo, ma che ci fai qui?”. 

    Ve lo immaginate? Qui sull’isola sono talmente convinti di essere soli che non si capacitano del fatto che io possa decidere di visitarla. Invece è proprio il contrario! Chiacchieriamo e Benjamin mi offre il pain au chocolat. Grazie! Di sicuro ci incontreremo di nuovo. Non è una profezia di Nostradamus: su un’isola di 9,8 km per 3,9 km, è impossibile non incontrare le stesse persone nella stessa giornata. Diverse volte al giorno. 

     

    Artisti e imprevisti 

    Mi dirigo verso la Pointe du But, il Caillou Blanc, il vecchio castello, il piccolo Port de la Meule. Lì, su una strada sterrata (sì, la Transcontinental sa il fatto suo anche off-road) vedo la sagoma di un ragazzo impegnato in una sorta di danza di fronte al mare, in balia del vento, davanti alle onde che si infrangono con forza sulle rocce. Non capisco subito cosa sta succedendo. Mi ricorda un direttore d'orchestra impazzito che cerca di padroneggiare la forza degli elementi. No. Ha in mano un pennello che, in realtà, potrebbe benissimo essere una bacchetta. 

    Pennello in aria, girando su sé stesso, cerca l'ispirazione per la prossima pennellata delicata che andrà ad arricchire il quadro a cui sta lavorando e che si trova davanti a lui, su un cavalletto. Faccio silenzio. Non vorrei interrompere questo momento. Anche se il centro è molto residenziale, l’Île-d'Yeu conserva davvero un qualcosa di magico. È piena di spiagge, sentieri e scogliere deserte. Sul Marshall della mia Transcontinental, metto i Mumford and Suns (Holland Road - no, non Hollande il presidente francese!) e inizio a cantare. Male, da solo, come un pazzo. Quest’isola ha un che di contagioso che, a differenza del Covid, è intrinsecamente positivo. 

    Un inciso: cercate un modo per risparmiare tempo? Io l'ho trovato. Una bella intossicazione alimentare. Tranquilli, va tutto bene. Servire cibo scaduto da due anni può succedere a chiunque. Ma ho perso tutta la fiducia, negli ultimi tre giorni non ho mangiato quasi per niente. 

    Lascio l'isola. Scendo a Rochefort per dormire, per poi rendermi conto che no, era meglio andare subito a Noirmoutier per questioni di orari di marea di luce per filmare. Solo allora torno a Nantes a prendere la mia macchina fotografica. Direte, e quindi? In realtà questo passaggio mi è utile. In questo modo ho potuto testare il comfort della mia Transcontinental. La Transcontinental fa come se niente fosse: ha già percorso 2.000 chilometri (una persona normale ne avrebbe fatti poco meno di 1.000) e mi accoglie con il suo notevole sedile, le sospensioni ben ammortizzate e la posizione di guida davvero regale. Un aspetto negativo è che, come in tutte queste moto, la pioggia tende ad accumularsi sul parabrezza, il che può essere fastidioso quando guidi di notte. Ma per questo non c’è niente da fare. A parte sperare ed essere fiduciosi... Ma io la fiducia l’ho già persa. 

     

    La Transcontinental fa fuoristrada 

    Dov'ero rimasto con le mie isole? Ah, sì. Ho individuato l'Île Madame. Un piccolo pezzo di roccia che emerge dall'acqua a poche miglia dall'isola di Oléron. Circa 900 metri di lunghezza per 400 metri di larghezza. Vi si accede attraverso il piccolo villaggio di Port des Barques, ma soprattutto attraverso un sentiero di sabbia e ciottoli, conosciuto come la Passe aux Bœufs. Con la bassa marea ovviamente, altrimenti non sarebbe un'isola. Ho tentato la fortuna con la Transcontinental. Ho lottato un po' per non rimanere bloccato nei primi metri in una parte sabbiosa leggermente più profonda all'inizio, poi ho percorso il breve chilometro che mi separava da Madame. 

    Ce l’ho fatta, è stabile. Mi direte... Ma perché vai su quest’isola su un sentiero instabile con una moto da 400 chili? Con una moto trail, la tentazione di dare un po’ di gas sarebbe stata forte. Quel luogo, però, è super protetto e i veicoli sono a malapena tollerati. L’isola è molto carina, ispira pace e tranquillità: un forte, un campeggio, un’azienda acquicola e, soprattutto, la totale assenza di persone. 

    Quando scaviamo nella storia, però, ci rendiamo conto che i nostri antenati non avevano la nostra stessa concezione delle vacanze su un’isola, o quantomeno non avevano la stessa idea di turismo. Le isole in passato erano avamposti di difesa o luoghi punitivi. Di conseguenza, sull'Île Madame si trova un forte che faceva parte del sistema di difesa del porto di Rochefort per proteggere il suo arsenale militare. Ma Madame è anche - e soprattutto - un’enorme croce di ciottoli, che segna il luogo in cui nel 1794 furono sepolti i preti contrari alla nuova Costituzione del clero. A Madame furono anche mandati in “vacanza” alcuni comunardi parigini, sicuramente per approfittare dell’aria tonificante del luogo e scavare un pozzo profondo 20 metri per ottenere acqua potabile.

    L’isola è davvero bella. Mi sarei anche lasciato imprigionare dalla marea per fermarmi un pochino, ma ammetto che tutte quelle storie mi hanno fatto venire i brividi. Così me ne vado e mi dirigo verso l'Île de Noirmoutier. Dopo Tatihou, Yeu e Madame, devo ammettere che mi sto avvicinando al mainstream. Del resto, con i loro ponti, Oléron, Ré e Noirmoutier hanno inevitabilmente subito di più l’assalto dei turisti e delle seconde case. Non è il mio genere, ma è così. 

    Le sublimi gole di Niolu a Cap Corse.
    Le sublimi gole di Niolu a Cap Corse.

    Passage du Gois 

    Tuttavia, ho delle cose da fare a Noirmoutier. C’è il suo famoso passaggio del Gois. Sono stato qui dieci anni fa. Il giorno prima di schiantarmi con la moto nel porto. Avevo fatto una foto incredibile della marea che saliva impetuosa, mentre io uscivo dall'acqua all'ultimo momento con la moto. La sorte ha voluto che quella foto non fosse mai resa pubblica. Ma quel posto mi piace e ho voluto filmarlo di nuovo. 

    Il Gois può sembrare un'attrazione per turisti in cerca di sensazioni un po’ forti. Le persone “normali” lo considerano una meraviglia della natura, forzata e violentata dalla mano dell’uomo. 

    Se agisci in modo razionale e lo percorri nel momento giusto, non ci sono problemi. Non mancano, però, le immagini di veicoli spazzati via dalla marea. Perché il Gois è lungo 4,125 chilometri e se non si fa attenzione, in poco tempo può essere ricoperto dall’acqua, che può passare da 1,30 metri a 4 metri di altezza. E quella di oggi è stata una delle alte maree più basse. Ieri non è passato nessuno. Sono andato lì, ho guardato, ho aspettato. A lungo. A un certo punto ho anche perso la speranza. Quando a un tratto... vedo dei fari in mezzo all’acqua. Sembrava un miraggio, un'allucinazione. 

    Nel bel mezzo al Gois, un veicolo pareva galleggiare, o meglio, sembrava fendere l’acqua. Impossibile: la marea era troppo alta! Eppure il veicolo avanzava verso di noi. Da questo lato del Gois, siamo rimasti tutti senza parole. Che cosa dovevamo aspettarci? Batman nella sua batmobile? Indiana Jones? Il mostro di Atlantide? No. Un bel parigino grasso su una Range Rover che aveva deciso di passare. Proprio in quel momento. Mi immagino dentro la moglie urlare che è pericoloso, mentre il marito risponde che sarebbe stupido non approfittare di quel quarto d’ora piuttosto che attraversare il ponte insieme a tutti quei cretini, e che le ostriche prese a Rungis si sarebbero scaldate nel baule. E poi, che abbiamo comprato a fare questa 4x4, tesoro? Ovvio, ho inventato la storiella tra moglie e marito, ma se avessi ingrandito la scena con la macchina fotografica penso che sarei riuscito a distinguere il sorriso soddisfatto dell’uomo e le unghie della signora conficcate nella pelle pregiata della borsetta appoggiata sulle ginocchia. 

    La macchina è uscita dall’acqua davanti agli occhi sbalorditi di chi percorre spesso quel pezzo di strada, e che ha aspettato un buon quarto d’ora in più prima di avventurarsi. La fascia oraria era ristretta, ma sufficiente. Ho azionato il drone chiedendo che seguisse me e la Transcontinental. Alle 7 meno dieci, la luce era quella del tramonto. Era uno spettacolo magnifico, esattamente come me l’ero immaginato. Nella mia playlist ho trovato i Waterboys, "I Wish I Was a Fisherman". In silenzio, con delicatezza e a ritmo di questa sorta di ballata celtica (il mare mi fa sempre cedere a queste suggestioni) ho attraversato il Gois, sereno, zen, 10 anni dopo quella brutta storia, in compagnia della mia Transcontinental. Ed è stato bello, eccome se è stato bello! 

     

    Infine la Corsica 

    Questo incredibile viaggio su strada ha inevitabilmente preso la direzione della Corsica. Proprio il luogo dove (soprattutto in questo momento) non bisognerebbe farsi troppe domande, del tipo: "Quindi la Corsica è un'isola indipendente o legata al continente europeo? È un continente a sé stante o no?”. Io propendo per il no.  

    Quando il traghetto Mega Express II è sbarcato sull’isola, mi sono buttato con la mia Transcontinental sulle basi. Sì, le mie basi! Ovvero i posti che conosco, quelli che quando sei in viaggio ti fanno sentire un po’ a casa. Sono andato a Porticcio. Appena dopo la "spiaggia d'argento". Ho girato a sinistra verso il vecchio penitenziario di Coti Chiavarri. Questa strada è molto frequentata da chi guida in Corsica, perché spesso viene usata come prova speciale per i rally. 

    Inizia sotto enormi eucalipti che dispiegano i loro rami come ombrelli sulla strada. Sembra di essere nel nord del Portogallo. La strada peggiora bruscamente e sale fino a un incrocio. La Transcontinental incassa. Meglio evitare di essere troppo ottimisti, insomma. Ma dopo una serie di manovre (frenata, curva, accelerazione per assestare le sospensioni e di nuovo accelerazione), la Transcontinental supera con successo la strada, schivando le capre. Quello che mi sorprende è con quanto poco sforzo riesco a girare il manubrio da una parte all’altra. 

    Poi mi sono diretto a sud: Propriano, Santa Lucia di Tallano, Levie, Zonza e, immancabilmente, il col di Bavella. La strada fino al colle è bellissima, ma diventa davvero stupenda quando si passa dall'altra parte, al livello delle greggi. Il tempo è orribile, ma l’atmosfera estremamente suggestiva: una pioggerellina e ciuffi di nuvole che fendo con la moto. Alcuni torrentelli d’acqua che attraversano la strada e le pigne, rotolate pericolosamente in mezzo alla carreggiata, rendono la guida più intensa. Lungo le numerose cascate (Purcaraccia) e piscine (Pulischellu), io e la mia Transcontinental ci lasciamo scivolare dolcemente sulla costa orientale, non senza aver visto un piccolo pezzo delle guglie di Bavella tra due nuvole, come se ci facessero un occhiolino per chiederci di tornare. 

    Tutto splendido, ma non è facile scattare foto. E le previsioni del tempo non sembrano giocare a mio favore. Il vantaggio è che in Corsica c'è sempre una soluzione. Sembra che a nord la situazione sia migliore. Il nord, il nord... Ora che ci penso, è assurdo. Non sono mai stato al nord. Perché? Chissà. Forse è una cosa istintiva. Perché in Francia, quando scendi a sud di Parigi non hai mica voglia di tornare su. E così è in Corsica. Forse anche perché quello che conoscevo del sud era così bello che non volevo rimanere deluso dal nord. Per stupidità o per semplice pigrizia mentale. Anche se amo scoprire, può succedere anche a me. 

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    Così, nonostante i 280 km percorsi, io e la Transcontinental abbiamo intrapreso una salita epica. Mi direte... Tra il sud e il nord della Corsica ci sono solo 220 km, bastano 4 ore. Sì, se passi per la costa orientale. Ma non è divertente. Se passi per la costa occidentale, ci vuole più del doppio di tempo.  Una piccola deviazione per Solenzara, Porticcio, ritorno ad Ajaccio, poi una piccola deviazione verso il golfo di Lava per mangiare una madeleine di Proust e dormire a Cargese. Continuiamo domani. 

    Ho dormito all'hotel Saint Jean, sul ciglio della strada. Non è niente di che, ma l’accoglienza è calorosa e la colazione eccellente. La marmellata di fichi era davvero ottima. Il pane morbido e tenero. Dopo questo banchetto luculliano, mi sono alzato e mi sono diretto verso la mia stanza. Ero felice di tornare in sella alla R18 Transcontinental. Ho fatto i bagagli, infilando tutto in valigia, e sono tornato alla reception, dove sono stato accolto in modo sorprendente dalla receptionist. “Lei è molto simpatico! Sorride sempre, la mattina, la sera... Non cambi mai!” mi ha detto. 

    Mi sono preso il complimento senza riserve e me lo sono goduto per tutto il giorno. Vedete, lo sapevo: la felicità appartiene ai saggi. Oggi vado alla scoperta della Corsica. O meglio, del nord della Corsica. Sì, fino ad ora non sono mai salito più in su di Porto. Ho preso la strada per Evisa per salire verso il Col de Vergio, passando per Vicco, Reno e Cristinace. Siamo molto, molto lontani dalla Corsica “balneare” da cartolina. La strada è molto tortuosa, le querce sono spoglie, il paesaggio è quasi spettrale. Ma bello. Direi addirittura sontuosamente spettrale. Ovunque mi imbatto in mucche e maiali selvatici. Saccheggiano letteralmente tutti i boschi a bordo strada. Mi pare che anche i cinghiali abbondino. Le capre invece... Se hai fortuna, salgono fin sulla strada nella tua stessa direzione. 

    Le tante cacche sulla strada ti avvisano in anticipo della loro presenza. Se le bestie vanno nella direzione opposta, però... L’incontro è più complesso. La salita per il Col de Vergio è superba. Il Col, che arriva a 1.477 metri, è dominato da un monolite di granito rosa, la statua di Cristo Re. Lo avrei volentieri coperto con uno scialle o una copertina di lana, perché faceva molto freddo: il ciglio della strada era ancora coperto di neve fresca. Con la Transconti (ho deciso di abbreviarne il nome, proprio come fanno i corsi), abbiamo scavallato.

    La Torre genovese di Niolu.
    La Torre genovese di Niolu.

    Francamente, mi ha stupito la facilità con cui la R18 può essere guidata. Con un po' di pratica, riesco anche a non far sfregare le pedane. Ovviamente devo scendere a compromessi con un movimento di controbilanciamento della parte superiore del corpo che, sebbene un po’ ridicolo, si rivela particolarmente efficace. Solo quando pecco di eccessivo ottimismo e mi devo raddrizzare per frenare, rallentare e riprendere di nuovo la traiettoria, i bordi delle pedane toccano il terreno. Il ritmo che si può impostare, però, è davvero incredibile. 

    Tra Castirla e Corscia, mi immergo nelle incredibili gole del Niolo, con le loro sfumature rossastre. Poi mi dirigo verso San Fiorenzio per percorrere la strada che segue Capo Corso verso ovest. Questa strada è semplicemente incredibile. Si affaccia su una costa scoscesa e battuta dalle onde, intervallata da piccoli paradisi di calma. Come la spiaggia di Negru, la marina di Cannelle o l'autentico porto di pesca di Centuri. I villaggi arroccati sono di un'autenticità rara, caratterizzati dalla calma corsa. La strada passa davanti a imponenti tombe di famiglia. Guardando meglio, posso quasi sentire la Paghjella, uno dei canti polifonici corsi più famosi. Ve lo giuro. Mi sono innamorato della bellezza assoluta e selvatica di questa Corsica. Sono però sicuro che, dato che non ho avuto il tempo di attraversare l’entroterra di Capo Corso, non ho ancora visto niente. 

    Dolcemente, senza forzature, sono arrivato a Capo Corso con la mia Transconti. Alla fine della fine. Di fronte a noi, l'isola di Giraglia e il suo faro. Nonostante i due miseri chilometri che ci separano, è impossibile arrivarci con Transconti. Ma il viaggio è già bello così. 4005 km in 80 ore e 47 minuti, dotato del famoso kit Dainese Antartica ultra caldo e impermeabile. 4 isole, o 5 continenti, attraversate con la Transcontinental. Adesso mi mancano solo gli 800 km che mi separano da Parigi. Tre tranche percorse in sette ore, senza mai forzare. Cavolo, questo è probabilmente il primo road trip che ho fatto da cui non sono tornato distrutto, nonostante abbia filmato, fotografato, guidato e scritto quasi ogni notte. Spero che non vi dispiaccia. 

    Equipaggiamento essenziale

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    Casco modulare

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    DAINESE22M.0000504_SN006484_CLOSEUP02 (2)

    Giacca in Gore-Tex®

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    Pantaloni in Gore-Tex®

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    Paraschiena

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    Stivali impermeabili

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    Guanti invernali

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    Maglia tecnica

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    201915944_604_F_S

    Calzamaglia tecnica

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    Tuta waterproof

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