Appassionato di moto e di viaggi, amo incontrare persone in Francia e nel mondo. Un giorno ho trovato l'alchimia per unire alla perfezione questi tre elementi: raccontare storie. Che si tratti di scrivere libri, scrivere su un social network o realizzare video per YouTube, sono prima di tutto un narratore.
Sono nel bel mezzo del mio ‘Contour de Francia’, non un ‘giro di Francia’ come potrebbe essere il Tour che si fa in bici. Questo è proprio il contorno. L’obiettivo che mi sono posto stavolta è quello di guidare la mia Honda NT1100 attorno al paese cercando in ogni dove di percorrere la strada, anche la più stretta e tortuosa, che segua più fedelmente possibile il confine. Una baggianata, direte voi. E invece mica tanto, perché se la Francia misura poco più di 6.000 km di confini, la rotta da me tracciata ne misura oltre 8.000! Com’è possibile? Facile, spesso e volentieri non c’è una strada lungo il confine, quindi bisogna inventare e saper improvvisare, tra vicoli ciechi, sterrate che diventano sentieri da enduro e via dicendo. Sono partito da Parigi e mi sono diretto, per cominciare, verso La Rochelle, sull’Atlantico. Da lì ho proseguito verso sud, attorno all’estuario della Gironde, poi verso i paesi Baschi, il confine spagnolo e i Pirenei. La prima parte del mio viaggio la potete trovare qui: In viaggio attorno alla Francia con Lolo Cochet, parte 1: da Parigi ai Pirenei
Ad Aldudes abbiamo iniziato davvero a risalire la montagna. Ed è qui che le cose si sono fatte più complicate. A un bivio, due ragazzi stavano sgombrando con la motosega due alberi appena caduti dall'altra parte della strada. Sulla destra c’era un cartello "strada bloccata", ma uno dei ragazzi mi ha detto che potevamo passare. "La strada è franata solo un po'..." Una delle cose che non bisognerebbe mai dirmi. In realtà non è stata poi chissà quale avventura. È vero: in due punti in particolare sembrava che un orco avesse preso a morsi l’asfalto. Certo, in macchina non si passava, ma tenendoci ben a filo della parete rocciosa, con la NT1100 non abbiamo avuto problemi. Ho pensato: “Bene” finché non ci siamo imbattuti in un ghiaione immenso.
Lì la montagna era proprio franata sulla strada. Un po’ una roba da puntata di Les Routes de l'impossible (“Le strade dell’impossibile”). Io e Marie siamo andati in ricognizione a piedi. Certo, non era un’autostrada e non era nemmeno una strada da consigliare, ma in mezzo a tutto quel marasma c’era un percorso, senza dubbio creato dalle moto da enduro. Ho tentato la fortuna, ma alla sola condizione di essere sicuro di poter superare l'ostacolo nella direzione opposta. Ma aspettate, perché il peggio deve ancora venire.
Ho attivato il controllo di trazione, ho ingranato la prima e la NT1100 è partita di buona lena. L’unico problema è che, uscendo da questo ostacolo, la strada mi ha condotto in un fosso, e non è stato mica facile uscirne! Comunque, ce l’abbiamo fatta. Subito dopo Esterençuby, siamo rimasti al confine su una strada chiusa per via della neve. Sul cruscotto la temperatura ha cominciato a scendere fino a due gradi e ha iniziato a nevicare. al punto che la strada si è coperta di neve candida. Con attenzione, lentamente, abbiamo raggiunto un bivio. Sulla sinistra si poteva scendere verso Iraty. A destra, la salita continuava. Dato che non sono poi così stupido, ho capito che la nostra avventura era giunta al termine. Quindi ci siamo diretti verso Iraty. La neve che cadeva sui nostri schermi si è trasformata di nuovo in acqua.
Il problema si è riproposto. Col du Pourtalet: chiuso! Così siamo rimasti a valle, uscendo il più possibile dalle strade principali. Solo poco prima di Andorra abbiamo potuto finalmente provare a “riavvicinarci alle cime” senza rimanere bloccati nella neve! A tal proposito, vi consiglio il grazioso Col de Latrape.
Collioure, 956 chilometri dopo! Marie ha apprezzato la sella e il comfort della NT1100, la cui sospensione posteriore era stata leggermente regolata. La moto è certamente più flessibile, ma è comunque rigorosa e offre ancora più comfort sugli ammortizzatori. In due, anche il motore dell’Africa Twin fa il suo lavoro, rispondendo bene anche al minimo superamento. Onestamente, la NT rimane sempre molto agile, docile e facile da guidare in coppia come in solitaria. Per farmi perdonare questo viaggio da urlo, ci siamo fermati in un buon ristorante di pesce a Collioure.
Devo dire che dopo i Pirenei, lungo la costa mediterranea,sì, ci sono bellissime riserve ornitologiche dopo Narbonne. Sì, gli chalet Gruissan Plage sono una curiosità da vedere. Sì, la Camargue è bella, anche il piccolo traghetto Sauvage (il capitano del traghetto non è un tipo facile, forse persino un po' scostante). Sì, le ville uniche che si affacciano su Saint-Jean-Cap-Ferrat e Beaulieu-sur-Mer sono paradisi, ma ragazzi: La Grande Motte, Agde, Valras… non scherziamo, dai! A Mentone ho iniziato LA salita. Quella che mi avrebbe portato a Lille, non senza aver incontrato le Alpi, il Jura, i Vosgi. Splendido, vero? Certo, a patto che i passi siano aperti.
Lo ammetto, ho cambiato un po' il mio metodo. Invece di farmi guidare dal mio percorso stabilito in tarda serata, ho comprato una cartina cartacea molto bella a 1:220.000. Quella che spiega i passi alpini. Quella che tiri fuori la sera nella tua stanza d'albergo e devi consultarla in piedi. Dall’alto, come se fossi su un elicottero, per avere una visione reale della situazione e capire meglio. Poi, sono andato su internet (sì, la modernità può andare a braccetto con questa buona vecchia mappa) e ho fatto il punto sui passi aperti. Castillon, Turini, Col Saint Martin, la Couillole: aperti!
Questi sono i passi di riferimento per restare sul confine italiano. Sì, ma alcune notizie accennano a una possibile e imminente apertura del Colle della Bonette. 2.715 metri, la strada più alta d'Europa. Invitante, no? Fin dall’inizio di questo viaggio ho girato, aggirato, circumnavigato, reinterpretato e ripensato il mio percorso. Sarebbe bello giocare ancora un po’, no? E se non funzionasse, dovrei solo fare una deviazione di 3 ore. A Saint-Étienne-de-Tinée faccio il pieno di benzina, di acqua e mi concedo l'acquisto di un panino, da infilare nella valigia sinistra. Non si sa mai. Là in fondo, la strada della Bonette è segnalata come chiusa.
Chiusa, chiusa, chiusa. In fin dei conti, non è altro che un aggettivo. Significa tutto e niente. Almeno posso soddisfare la mia curiosità, spingendomi fino all’ultimo villaggio prima della Bonette: Bousiéyas. E ho fatto bene, perché fino a lì ci si arriva. È strano vedere questo piccolo villaggio, di solito tanto vivace, così deserto. Sopra Bousiéyas, altri segnali indicano chiaramente la chiusura. Due motociclisti salgono. Per divertimento? Per raggiungere la neve? Chissà. Anche io inizio a salire. Che angoscia dover fare inversione... però non ho rimpianti, perché lo spettacolo è meraviglioso. Nelle Alpi meridionali è nevicato molto poco e i pascoli stanno affiorando. Le marmotte sembrano salutare (o fischiare) il mio arrivo. Ne filmo due, che sembrano impegnate in un combattimento di MMA, per poi scomparire nella stessa tana.
Se conoscete il col della Bonette, mi spingo fino alla vecchia caserma militare, che fino al 1944 proteggeva l’accesso alle valli alpine francesi. Il posto è ancora piuttosto suggestivo. Breve pausa panino. Mi dico che è strano che questa strada sia aperta. Non c’è un cane di nessuno. Al massimo un paio di marmotte. Avanzo ancora di un chilometro e scopro quello che avrei dovuto vedere almeno mezz’ora fa, mentre mangiavo il mio panino. Un enorme sbarramento di legno. Chiuso da un lucchetto, blocca ampiamente l’accesso su entrambi i lati.
A sinistra, il precipizio: impossibile da superare senza ribaltare la moto. Sulla destra, un enorme mucchio di pietre sul fianco della montagna. Lo so, quello che sto per fare non va bene. In quel momento arriva un tipo che mi dice: “Vuoi passare?” “Sì, boh, forse sì, forse no, non proprio...” Non so più che fare, con tutte queste inversioni a U e queste tentazioni continue, ma insormontabili. Dovete capirmi: essere il primo a passare per la strada più alta d'Europa... Il tipo mi dice che è “da stupidi venire qui oggi”. Non oso contraddirlo, anche se lo trovo un po' troppo gagliardo come approccio. Ma lui continua, non per riprendermi per la cazzata che sto per fare, ma per spiegarmi che “è da stupidi rimanere bloccati lì, perché domani si riapre. Estrosi verrà qui per una trovata pubblicitaria, per dire che la nostra regione è bella. Apriranno per lui!”
Che cosa?! Christian Estrosi? Il sindaco di Nizza? Ex pilota del Gran Premio che si è distinto al Bol d'Or, sul Moto Journal 200, nei Gran Premi e anche sul Pernod? Lì mi son detto: “Estrosi sul podio c’è già stato. Ora tocca a me.” E poi non mi sarei fatto fregare da una processione di limousine con interni in pelle per una questione di correttezza! Se può salire una berlina ufficiale, può farlo una moto. Rimuovo le due valigie dell'NT1100 per guadagnare un po’ di spazio in larghezza. Tolgo i sassi più grossi e riesco a creare una sorta di rampa piuttosto semplice da percorrere. Dall’altro lato bisognerebbe tuffarsi in un burrone pieno di neve. Disattivo il controllo di trazione e mi infilo in questa tana. La parte posteriore pattina un po', tuttavia la NT1100 non si fa pregare e sfida il divieto.
Appendo di nuovo le valigie e parto per questa strada deserta, unica. C’è la neve, c’è il ghiaccio. Faccio lo slalom tra i sassi. Approfitto di questo momento unico per salire con calma, assorbire questa solitudine e questa immensità. Arrivato in cima, l'anello che circonda La Bonette è ancora innevato. Il piccolo passaggio di Restefonds, che permette di passare dall'altra parte, è però percorribile. Mi godo qualche momento di felicità in più finché... un enorme muro di neve. Un impressionante cumulo di neve che interrompe la mia corsa e impedisce l'accesso (nel mio caso la discesa) dal passo a Jausiers e Barcelonnette.
Inversione a U? No, no e poi no. Questa volta mi rifiuto. Il cumulo di neve è fitto, enorme. Prendo la pala dal bauletto e attacco questa enorme meringa. Non sono arrivato fino a qui per fare un’inversione a U. E poi, anche se significa essere il primo a passare, tanto vale scavare l'ultimo corridoio. Un'ora dopo, è fatta. Per non fare proprio la figura del cretino (anche se ormai è troppo tardi, mi direte voi), ho chiodato leggermente la gomma posteriore con i mini tacchetti Best Grip adatti alle gomme da mountain bike: una penetrazione di soli 6 mm nel pneumatico che permette di equipaggiare un pneumatico da strada (un pneumatico da enduro supporta chiodi molto più grandi piantati nelle gomme). Contatto, prima e... via. La moto scivola un po’, ma passa. Ah, no! Le valigie sono ancora lì, su ogni lato. Allargo ancora un po’ il passaggio e libero la NT1100.
E a quel punto? Che cosa pensate che abbia fatto? Mica volevo abbandonare l’Annapurna lasciandomi dietro la mia spazzatura, dopo aver piantato la bandierina! No, ho ripreso in mano la pala per riempire coscienziosamente il bel corridoio scavato nel cumulo di neve. Così nessuno potrà precipitare nel buco della mia stupidità. La Bonette, è fatta. Ve l’avevo detto che mi sarei avvicinato di più al confine, nel mio Contour de France. Guido tranquillo fino a Barcelonnette. La Madeleine, il Glandon, l’Izoar... no, non li sfiderò a suon di pala e piccone. Ma questa piccola “vittoria” mi ha fatto bene. Due giorni dopo, La Bonette è ancora chiusa ed Estrosi non si è fatto vivo. Vedi che essere dei cretini a volte serve!
Dopo la bellezza e le emozioni delle Alpi, sono caduto in un buco nero! Non è difficile da capire. Un buco nero... sì, dai, quell’oggetto celeste così compatto che l’intensità del suo campo gravitazionale impedisce a qualsiasi forma di materia o radiazione di fuoriuscirne. Infatti un buco nero non può né emettere né disperdere luce, ed è quindi... nero! Un buco nero.
Ecco cosa mi è capitato quando ho lasciato le Alpi. Avevo conquistato quello che c’era da conquistare nel mio Contour de France. Il colle di Vars (con il suo accogliente rifugio Napoleone sulla cima), Lauteret, Fresnes, Leschaux e poi Les Gets. Ho girato intorno al lago d’Annecy per tuffarmi nel Doubs. E voi mi direte: è sicuramente successo a Mouthe, il comune più freddo della Francia; è lì che gli è capitata la faccenda del buco nero. Macché! Il tempo era eccezionalmente bello, persino caldo. Con la Honda NT1100 ho attraversato Morteau per seguire i meandri del Doubs e le sue colorate navette fluviali che portano al famoso Salto del Doubs.
Con la NT sono invece passato per la Rue des Combes, che sovrasta l’imponente canyon in un paesaggio simile a quelli canadesi. Il Salto del Doubs è davvero curioso. Si è formato 12.000 anni fa in seguito al crollo di due valli, generando una cascata alta 27 metri. Così lo descriverebbe un geologo. Per chi ha un animo poetico, invece, rappresenta soprattutto un’occasione per fantasticare, mentre lo si attraversa in kayak nei periodi di piena. Con la NT non ci siamo avvicinati troppo, non si sa mai... Subito dopo abbiamo visitato Charquemont, Maîche, Saint-Hippolyte e Audincourt, percorrendo stradine tutte curve e salite. Congratulazioni, ragazzi e ragazze: la vostra è una regione magnifica! Lì mi son detto: ottimo, ci aspettano i Vosgi. Ma a scuola avrei fatto meglio a seguire le lezioni di geografia. Sì, perché il massiccio dei Vosgi si ferma poco prima del confine tedesco, fondamentalmente intralciando il mio percorso. Non avevo altra scelta che cadere nel buco nero.
Un susseguirsi di rettilinei infiniti lungo il Reno. Per fortuna siamo in periodo elettorale, altrimenti temo mi avrebbero ritirato la patente. Parcheggi pieni di auto nuove in pronta consegna (ma non c’era una carenza di semiconduttori?), parcheggiate sotto pensiline composte da pannelli fotovoltaici! Banchine di carico, fabbriche puzzolenti. Beh, non si può prendersela con il Reno; fa un lavoro eccezionale, fornendo acqua a 30 milioni di persone e trasportando più di 180 milioni di tonnellate di merci. Io e la NT1100, però... ci siamo proprio rotti le palle. Non me ne volete, vi chiedo scusa in anticipo per le parolacce, ma non saprei proprio come descrivere la situazione altrimenti. La regione non è tutta da buttare, ma il mio percorso è andato a farsi benedire. Da questa parte della Francia, non si possono seguire i confini! Grazie a questa idea di fare il Contour de France, ho fatto delle scoperte belle e altre decisamente meno belle. Il problema è che un buco nero è grande, enorme. Non credo nemmeno che ne conosciamo la profondità. E siccome non ci sono eccezioni, io e la NT ne siamo rimasti prigionieri. Ho dovuto proseguire lungo i confini settentrionali.
Stessa osservazione: una noia mortale. Per un attimo, però, ho pensato di essere sfuggito al buco nero quando sono arrivato alle Ardenne. Tra le conifere si srotolano lunghi rettilinei, ma il paesaggio è già più vario. Ho anche visto cartelli che indicavano Gedinne, Chimay! Figo, potrei bere qualcosa. Invece no. Per me, Chimay e Gedinne sono solo i nomi mitici dei campionati belgi di ciclismo su strada. Ma niente, non ci sono andato. Il mio Gps voleva assolutamente restare nel buco nero così ho proseguito lungo il confine. Allora però mi sono opposto. Ho detto “no, no, no, no, no” e sono andato a farmi un giro a Maubeuge. Ero speranzoso di trovare un barlume di eccitazione, una piccola schiarita in questo road trip. Ma evidentemente non era proprio la mia giornata. Era Pasquetta, e la mitica Maubeuge era deserta come in un giorno di lockdown. Ritorno alla linea Maginot, alle sue fortificazioni nei campi, al suo universo di mattoni. I muri sono di mattoni, le case sono di mattoni, le cappelle sono di mattoni. Solo i soldi non sembrano fatti di mattoni (e lo dico con affetto).
Al nord, le persone sono fantastiche. Nella campagna aleggiava un buon odore (stavolta), l’odore della Pasquetta. Ovunque, mercatini delle pulci, picnic, le persone sanno come divertirsi. Probabilmente sono io che sono stupido a fare tutti questi chilometri. Ed è così che, senza nemmeno accorgermene, proprio come ci sono entrato, sono uscito... dal buco nero! Bray-Dunes. In alto, a nord, proprio al confine con il Belgio. La città più settentrionale della Francia. Molto meno conosciuta di Capo Nord (un’altra punta settentrionale, ma in Europa), Bray-Dunes merita comunque una deviazione per il suo fascino caratteristico. La strada principale, i negozi di patatine fritte, di gelati, palloni, racchette e costumi da bagno. È come essere in spiaggia, ma con maglione e cappello. Rilassati, sto scherzando (anche se...). Ma andiamo, forza. Partiamo per l’ultima tappa del mio Contour de France: Normandia, Bretagna.
I bretoni mi fanno morire dal ridere. Rivendicano la loro diversità, la loro autenticità, ma allo stesso tempo si capisce che hanno bisogno di riconoscimenti, di sentirsi amati. Si vede. Devono convincerci, persuaderci che la loro regione è la più bella. Non che ci sia niente di sbagliato in questo, ma in Bretagna è tutto finto, una bellezza di facciata. Ed è da molto che lo penso! Prima che i bretoni vengano a sfasciarmi la casa con il loro berretto rosso, lasciate che vi spieghi il perché. La mia idea sulla Bretagna si rifà a un vecchio ricordo. Molto, molto vecchio. Era il 1998. La nuova Aprilia RSV Mille (motore bicilindrico Rotax, ben prima del V4) era appena uscita. Mi era stato chiesto di fare un confronto con una Ducati 996 e una Suzuki TL 1000 R. A quel tempo ero giovane, bello e innocente, e non capivo davvero perché i tester non andassero mai in Bretagna per fare i loro test. Che bella idea, in pieno mese di dicembre. Rettilinei ghiacciati e un tempo orribile che alla fine ci ha costretti a fare marcia indietro. Ricordo bene la foto di copertina del giornale: tre cretini ritratti di faccia, con i nasi congelati e la tuta che a malapena riusciva a proteggerci dal freddo. Non ho alcuna intenzione di rileggere quel confronto, così come l’eminente parere che avevo potuto (dovuto) dare sulle qualità dinamiche di queste moto. A volte i giornalisti fanno magie!
Quindi mi sono detto: io, in Bretagna, MAI PIÙ. Infatti non ci ho più messo piede, né tantomeno ruote. Anche se significa correre un rischio, ho preferito salire più volte a Capo Nord, a -30 gradi con le gomme chiodate. Almeno so cosa mi aspetta! Comunque il mio Contour de France mi obbligava, non avevo scampo. Dall’andare in Bretagna, dico. Allo stesso tempo, il disastro imminente alla fine non mi dispiaceva così tanto. Mi spiego: niente foto, niente video. A che pro? Per mostrarvi la pioggia che cade? Meglio lasciar perdere. Ma così potevo rientrare a casa, dopo 19 giorni di viaggio on the road e 8.000 chilometri percorsi su strade secondarie. Ed è così che ho lasciato Mont Saint Michel in Normandia per entrare in (rullo di tamburi) Bretagna. Ero sicuro, zen, sereno. Sarebbe andato tutto bene, avrebbe piovuto come a Phnom Penh nel bel mezzo della stagione dei monsoni. Quindi ammetto di essere rimasto sorpreso quando mi ha accolto una tempesta di cielo blu. 20 gradi, un sole radioso. Ho guardato il GPS per essere certo di non aver sbagliato direzione. Insieme a Morgan e Guillaume, che si sono uniti a me, abbiamo preso alcune belle stradine. Anche questo mi ha sorpreso. Abbiamo attraversato la graziosa Cancale, diretti alla Pointe du Groin per andare verso l'île du Guesclin. Un paesaggio da cartolina. Acque turchesi, rocce maestose, il forte... potrebbe tranquillamente diventare la prossima Koh Lanta (spero di no). Ho preso a calci la roccia per assicurarmi che non fosse finta. Invece no.
Amici bretoni, lo sapete che vivete in un posto bello, anzi, bellissimo? Abbiamo proseguito su una strada splendida, fatta di curve e tratti dolci a strapiombo sulla costa. Con Guillaume ci siamo persi nelle stradine più piccole per tenerci il più vicino possibile alla costa. Abbiamo anche attraversato piccoli ruscelli che hanno ravvivato questa avventura. A Cap d'Erquy la bellezza assoluta mi ha davvero stravolto. Bretoni, non siate così timidi. Dovete dirlo che casa vostra è così bella. Che la sua non è una bellezza fittizia e che, a differenza di quello che pensavo, non piove nemmeno tutto il tempo. Beh, d'altra parte, mi avete davvero dato del filo da torcere. Per quanto riguarda la faccenda del Contour de France, la Bretagna è la regione francese che ha più chilometri di costa. 2.730 chilometri di costa dove dune battute dal vento si intervallano a scogliere a strapiombo sull'oceano, estuari che fungono da rifugio per pesci, molluschi o uccelli, saline, banchi di ciottoli.
E ancora, se contiamo il profilo delle isole, si tratta infatti di 1.000 in più. Ma io ero in moto e secondo me non bisogna fidarsi di quella costa. Mi ci è voluta una quantità di tempo allucinante per percorrerla tutta. Confesso di aver tagliato, a volte. Ad esempio, non abbiamo avuto il tempo di visitare Saint-Malo e Brest (la prossima volta, promesso). Ma vi assicuro che ho fatto del mio meglio. Mi sono impegnato a seguire le punte del profilo di Finistère. Non mi credete? Sono stato a Camaret, Crozon, Audierne, Penmarch. Anche a Logonna-Daoulas. Al sontuoso Domaine de Moulin Mer: un mulino a marea che ha bisogno del nostro sostegno (o semplicemente, della nostra ammirazione) per essere riabilitato come residenza d'artista aperta ai viaggiatori e alla cultura. Sulla sua costa meridionale, la Bretagna ha pendenze più dolci. Probabilmente perché fiorisce di più in estate. È meno torturata, ferita e probabilmente anche più frequentata.
Sono andato a Larmor-Plage, la fine della penisola di Quiberon. Sì, anche lì. Poi di notte, perché questa storia doveva finire, sono andato a Guérande, Quiberon, La Rochelle. Ma poi è successa una cosa strana. Ammetto che dopo un road trip del genere ero letteralmente distrutto, a pezzi. Quindi non sono più riuscito a trovare il punto esatto in cui questa cosa era iniziata. Quell’insignificante incrocio con il cartello di Boucholeurs e il segnale di Stop, dove tutto era iniziato. Che roba! Questo luogo così insulso era diventato mitico, sacro per me, ma dato che ero a pezzi, non ne ho fatto nemmeno una questione di principio. Ho dato un'occhiata al contachilometri della Honda NT1100. 9.417 chilometri da cui sottrarre i 1.110 che aveva già quando l’ho presa: sono esattamente 8.307 chilometri in 19 giorni. Poco prima di partire mi ero detto:
- 8.139 chilometri
- 193.302 punti GPS
- Altitudine minima: 7 metri
- Altitudine massima: 2.706 metri
- Salita cumulativa positiva durante il viaggio: 144.314 metri
Non ci sono andato poi così lontano. In questo non ci sono state sorprese. E io? Sapevo che sarebbe stato difficile. Che quei 19 giorni sarebbero bastati a malapena. Che il mio programma non era perfetto. Che molti passi sarebbero stati ancora chiusi. Ma mi sono lasciato guidare da questo percorso, tracciato, per così dire, sullo schermo di un computer del tutto impersonale. Ho scoperto luoghi improbabili (Bray-Dunes al confine con il Belgio, non sapevo nemmeno che esistesse), piccoli borghi, strade perdute. Quando si riparte? La settimana prossima, sì, sono serissimo.