Classe '76, dal 2001 tester collaudatore per la rivista Motociclismo. Ho provato di tutto nella mia vita, dalle MotoGP allo speedway, girando i più bei circuiti, da Phillip Island a Sepang, da Laguna Seca a Portimao. Amo le due ruote in tutte le loro declinazioni, dalle sportive al fuoristrada, perché ognuna nella mia vita ha saputo regalarmi emozioni. La gara più bella che ho corso da pilota è certamente la Pikes Peak in Colorado nel 2008, quando ancora c’era la terra battuta. Realizzo foto e video per i Dainese Expedition Masters, dalla Sardegna all’Islanda, dal Tibet al Sudamerica. Il viaggio più bello? Il Ladakh, sui passi più alti dell’Himalaya. Il più freddo? Tibet, fino al campo base dell’Everest a 5.700 m in inverno, con temperature da -10 a -23 °C. Quando la mia attività di fotografo e giornalista mi lascia del tempo libero, prendo l’enduro e vado per boschi, montagne o deserti. Vedere il mondo su due ruote continua ad essere l’emozione più grande.
Solo amare alla follia la moto e la montagna può portare a fare un viaggio così. Perché l’Everest non è una meta, è La meta. Volare verso l’Himalaya a fine dicembre per iniziare un viaggio unico, da Lhasa, la principale città del Tibet, regione della Cina, all’Everest Base Camp. Un pizzico di follia ci vuole, non c’è dubbio.
Ma perché a fine dicembre? Non perché ci piaccia viaggiare con temperature proibitive, non proprio. Abbiamo deciso di andare in inverno perché c’è molta più probabilità di riuscire ad avvistare la cima. La stagione calda, tra giugno e settembre, equivale a quella dei monsoni. Nubi e neve in quota tengono costantemente incappucciata la piramide sommitale e i giorni di cielo terso, intorno alla sua vetta alta 8.848 m, sono pochissimi.
Il viaggio prevede tappe giornaliere di circa 300/400 km, anche in fuoristrada, con temperature da zero a -20 °C. I pernottamenti sono in strutture chiuse da mesi, in quanto siamo fuori stagione per turisti e alpinisti, che solitamente frequentano la zona in primavera: ciò significa che sono gelate, letteralmente.
Vestirsi come si deve non è solo consigliabile, è un imperativo. Ci sono due livelli di scelta dell’abbigliamento: puoi coprirti bene, con l’obiettivo di resistere e non morire assiderato, oppure fare uno step in più, dotandoti di tutto quello che può portarti, anche in condizioni così estreme, verso il comfort termico. La differenza è che, se viaggi bene anche con -20 °C, allora potrai guidare e gustarti le strade e i panorami senza pensare al fatto che fa freddo. Perché… sì, fa freddo. E quindi completo touring invernale in Gore-Tex, per il massimo dell’isolamento dall’ambiente esterno e da eventuale maltempo, imbottitura in piuma d’oca, il meglio per far fronte al freddo, quello vero, poi strati tecnici per cercare di ottenere un comfort ottimale anche in condizioni proibitive.
Quando sei lì, al sicuro dentro il tuo microclima, scopri che il Tibet anche in inverno è meraviglioso, con le sue vallate, le strette gole scavate da antichi fiumi, laghi di montagna di un blu raro, montagne a vista che così belle e imponenti mai avevamo visto. Si viaggia costantemente in quota, controllando l’ossigeno nel sangue con la macchinetta sull’indice più volte al giorno, perché si parte dai 3.650 m di Lhasa e non si scende più sotto i 4.000 m per giorni, con molti passi oltre i 5.000 m. Salendo in moto non c’è il tempo di acclimatarsi lentamente, quindi è bene tenere sempre tutti i parametri sotto controllo.
La meta è il Campo Base Nord, ai piedi del ghiacciaio di Rongbuk, che non puoi più raggiungere con il tuo mezzo: da circa un anno il Governo cinese ha imposto di fermare i mezzi a motore 25 km prima, poi si prosegue con bus elettrici. Stanno anche ripulendo le tonnellate di pattumiera abbandonate al Campo dalle spedizioni commerciali che puntano alla vetta: insomma, hanno deciso di preservarlo, perché si tratta sì di una grande fonte di turismo, ma è prima di tutto un patrimonio naturalistico. E a noi piace così, scendi dal bus di fronte al Monastero buddhista di Rongbuk e ti fai l’ultimo chilometro a piedi.
Hai l’Everest di fronte a te, è imponente, ma non vedi di fronte a te un Ottomila, perché ti trovi già a 5.350 m e la montagna sale di altri 3.500 metri circa. Non si respira, tira un vento fortissimo, fa freddo, quello che ti lacera le labbra. Se sorridi si strappano all’istante. Ma il nostro corpo è al riparo, si resiste e allora restiamo lì mezz’ora, qualcuno per guardare la montagna, qualcun altro per una riflessione, qualcuno per una preghiera, qualcun altro per un pianto. Di quelli liberatori.
Non c’è nulla che possa prepararti a quello che ti aspetta, nemmeno queste poche righe di consigli, perché il freddo, quello vero, quello che ti entra dentro e non se ne va più, sarà comunque inesorabile. Però se siete pronti a soffrire, allora il Campo Base dell’Everest in pieno inverno è il viaggio estremo giusto per voi.
Cosa portare? Come abbigliamento da moto io avevo il completo Antartica e probabilmente sono sopravvissuto grazie ai layer termici di giacca e pantaloni davvero eccezionali. Ma è capitato di aggiungere un ulteriore piumino sotto la giacca. Cos’altro? Sacco a pelo invernale, perché non sempre c’è il riscaldamento di notte e si può dormire con mille coperte di lana, ma pur sempre sottozero, pila frontale, sottoguanti di seta per quando togliete i guanti da moto, ma non resistete senza nulla sulle mani, poi dei guanti in lattice che comunque isolano ulteriormente. Il passamontagna con integrato un bel paracollo imbottito è una bella idea. Quando si viaggia a temperature molto basse per molte ore al giorno è utile potersi vestire e svestire a seconda della temperatura, che scende parecchio quando il sole inizia a calare verso sera.
Quindi vestiti a cipolla, ma con una accortezza in più: il consiglio è di utilizzare una giacca di una taglia in più, per avere lo spazio per gli strati interni senza comprimere eccessivamente tutti gli strati. Proprio le piccole intercapedini di aria tra i vari strati creano il miglior isolamento. Gli stessi strati con una taglia in meno fanno sentire molto più freddo. Idem per gli stivali. Un pelo abbondanti sono perfetti, al massimo un numero in più del nostro, perché i calzettoni invernali hanno un certo spessore e potrebbe servire un doppio calzettone.
Certo, la sensibilità nella guida ne risente un pochino, ma qui non dobbiamo guidare una MotoGP, qui bisogna coprirsi per non morire di freddo, quindi va bene uno stivale un po’ comodo che permetta di muovere le dita e non costringa troppo il piede. Non c’è il problema del ghiaccio sulle strade, a patto che non nevichi, perché l’umidità è bassissima, il clima è secco, per cui si guida senza patemi. Noi avevamo pneumatici Metzeler Karoo Street e, per guidare con queste temperature, si sono rivelati ottimi, dando sicurezza e grip inaspettato. Il fuoristrada è poco o niente, ma anche qui, se volete farvi delle deviazioni offroad, una gomma così vi permette di non aver problemi.