La GSX-R 1000 del team Tyco fende l’aria sul rettifilo di Sulby a ben oltre 300 chilometri l’ora. Poco più tardi sfreccia attraverso il caseggiato di Ramsey, affronta l’omonimo tornantino e poi il Gooseneck, una curva che è più una rampa di lancio verso il tratto di montagna. Un nastro d’asfalto leggendario che corre sinuoso tra i verdi pascoli mannesi, prima di ridiscendere verso Bray Hill e il traguardo.
Siamo sui 60,7 chilometri dello Snaefell Mountain Course all’Isola di Man, il circuito di gara più antico e famoso al mondo. Guy Martin sta pilotando la sua moto con gli occhi sgranati, puntati decine di metri oltre la ruota anteriore. Lo attende il terzo gradino del podio della gara Senior del 2014, la più prestigiosa, a fianco di due leggende viventi come Michael Dunlop e Conor Cummins.
È il Tourist Trophy. La corsa su strada. Dal 1907 ad oggi c’è chi ha collezionato ventisei vittorie, chi ne ha collezionate dieci, chi una e chi nessuna. Tra chi sta ancora aspettando la vera gloria c’è un ragazzotto trentatreenne di Grimsby che si esprime in una lingua tutta sua.
All’isola di Man fin ora ha raccolto la bellezza di nove podi e parecchie cicatrici, ma non è mai riuscito ad alzare più in alto di tutti la coppa con il Mercurio Alato. Ci ripensa Guy, alle cicatrici, proprio ora mentre si avvicina pericolosamente alla piega verso destra di fronte al pub di Creg Ny Baa. Forse, piuttosto che incassare un altro terzo posto a quasi trenta secondi da Dunlop, preferirebbe fermarsi a mangiare un piatto di fish & chips.
Sì, le cicatrici. Come quelle del 2010, forse le più difficili da dimenticare. Siamo ancora durante il Senior TT e Guy doma la bellissima Honda del team Wilson Craig, con livrea celebrativa rossa e argento. È stato al comando fino a pochi minuti prima, sul filo dei millesimi contro un inarrestabile Ian Hutchinson. È il terzo giro e la CBR si avvicina al passaggio di Ballagarey a duecentosettanta chilometri l’ora. Un po’ troppi per evitare uno degli incidenti più paurosi della storia recente del TT.
La Honda colpisce il muretto esterno alla curva e si trasforma in una palla di fuoco. Guy cade dalla moto, colpisce il muro e si ritrova a scivolare sull'asfalto in mezzo alla strada. È vivo, potrebbe stare meglio ma è tutto intero. Viene trasportato all'ospedale di Noble con le sopracciglia bruciacchiate e non capisce il perché. Poco più tardi, quando vede le prime foto dell’accaduto, la situazione è più chiara. Pochi giorni dopo, per non sbagliare, già fa progetti sulla partecipazione alla Southern 100 del mese successivo.
Guy ringrazia il cielo, ma ancor di più ringrazia chi gli ha progettato l’abbigliamento e le protezioni. Casco, tuta, stivali, guanti, paraschiena e chest protector. Si sofferma soprattutto su quest’ultimo Guy, il protettore per il torace. Ha iniziato ad usarlo da una sola stagione e già gli ha salvato la vita. Non osa immaginare cosa sarebbe successo se non avesse indossato il paraschiena, visto che qualche livido lo ha riportato comunque.
Il casco, a parte qualche striscio profondo, è relativamente in buone condizioni. Stivali e guanti, in pelle, carbonio e fibra aramidica gli hanno salvato mani e piedi, nemmeno un graffio. La tuta è quella che se la passa peggio, ma non per la caduta. Più che altro perché è stata tagliata dai medici del pronto soccorso. Osservando le foto dell'incidente, mai si penserebbe che se la possa essere cavata con così poco.
Ma oggi, mentre scende verso la tribuna del Grandstand e la bandiera a scacchi, Guy è perfettamente a suo agio. Sa che la sua Dainese può proteggerlo al meglio in ogni situazione, come ha sempre fatto. Non potrebbe essere più al sicuro, se non sul divano di casa. La tuta in pelle bianca e azzurra integra un sistema airbag all'avanguardia che copre le clavicole e le spalle con il suo sacco brevettato.
Si chiama Dainese D-air® ed è una rivoluzione introdotta da qualche anno nelle gare in pista. Sviluppata dai colleghi della MotoGP, tra cui Valentino Rossi, per dire. Per le gare su strada è stato necessario un affinamento, per insegnare all’algoritmo a distinguere tra una caduta e le tipiche sollecitazioni dei circuiti cittadini. Un lavoro non semplice, perché lo staff Dainese si è trovato di fronte ad anomalie come il salto di Ballaugh Bridge o l’impennata a duecentosessanta all’ora sull’Ago’s Leap.
Una ricerca, quella del dipartimento R&D di Molvena, che da sempre sfrutta il banco prova più estremo per sviluppare i nuovi prodotti. Cosa meglio del Tourist Trophy, dunque? I piloti non sono altro che i primi e più esigenti collaudatori, ma il beneficio arriverà a cascata sulla produzione in serie, e sarà quindi di tutti.
Guy lo sa, anche questo è parte del suo mestiere. Correre a velocità folli tra muretti e pali della luce, sembrerà un paradosso, sta dando una spinta alla sicurezza di tutti quelli vanno in moto, siano essi professionisti o appassionati che puntano i passi di montagna la domenica mattina.
Mancano poche centinaia di metri al traguardo di Glencrutchery Road. Guy si concentra sugli ultimi passaggi, i più lenti tra le vie di Douglas, la capitale dell’Isola di Man. Un altro podio lo aspetta. Anche se dovrà fermarsi ancora sul gradino più basso, stappare lo champagne è sempre un bel momento.
Questo sarà il suo ultimo podio in sella alla 1000. Ne seguirà uno sulla 600 l’anno successivo e uno al TT Zero del 2017, il dodicesimo di una delle carriere più discusse e sotto i riflettori degli ultimi anni. Mai una vittoria, ma tanti piazzamenti e successi sfiorati per un pelo, come la Supersport del 2010, regalata a Hutchy per tre secondi. Una vita tutta trascorsa a spingere in là il proprio limite, mai sazia di velocità.