Dovessimo individuare un pilota che, in tempi lontani, abbia dato un primo segnale e indirizzato il motociclismo verso il professionismo e la modernità, quello sarebbe senza dubbio Giacomo Agostini. “Mino” nasce a Brescia il 16 giugno 1942 e con lui nasce la sua vocazione per i motori, qualcosa che fino ad allora non era mai stato di famiglia.
Riesce a superare l’opposizione del padre, che non vorrebbe che Giacomo corresse in moto, e nel luglio ’61 si schiera al via della cronoscalata Trento-Bondone, la prima gara della sua vita, dove termina secondo. Da qui alla partecipazione di Ago a gare mondiali passano un paio d’anni e numerose vittorie in patria, ma bisogna attendere il 1965 per un impegno a tempo pieno nella massima serie, in sella alla moto italiana MV Agusta.
In quel ’65 Ago è già secondo in entrambe le categorie cui partecipa, nella 350 alle spalle di Jim Redman e nella 500 alle spalle del compagno di squadra Mike Hailwood. Il primo titolo, primo di una lunghissima serie, arriva già l’anno successivo, quando Giacomo è Campione del Mondo della classe 500. Non si fermerà fino al ’72, ripetendosi poi nel ’75. Nella 350 non è da meno e conquista 7 allori iridati consecutivi tra il ’68 e il ’74.
Un lustro o poco più dopo il debutto assoluto, Giacomo Agostini è già di diritto negli annali del motociclismo, ma il lombardo scrive la storia non solo con i suoi successi. Giacomo è forse il primo “vero” pilota professionista di sempre, se non altro il primo a capire che l’approccio nei confronti della competizione conta tanto quanto la performance stessa in gara.
Con pochi esempi si può rendere l’idea. Ben presto Giacomo rinuncia ai pernotti nel paddock le sere prima della gara per star lontano dagli schiamazzi e dalle distrazioni, preferendo una più tranquilla sistemazione in hotel; evita poi vizi ben diffusi tra i suoi colleghi quali il fumo e il consumo di bevande alcoliche. La sua dedizione giunge ad un controllo minuzioso della moto eseguito personalmente, pare in seguito al Gran Premio del Giappone del ’65, quando Ago perse gara e mondiale classe 350 per un banale distaccamento di un filo elettrico.
La sua meticolosità arriva anche alla preparazione del proprio abbigliamento di gara, inizialmente composto da una sottile e leggera tuta in pelle nera e da un casco a scodella. Queste prime e semplici tute sono poco più che una “copertura”; in seguito a una scivolata sull’asfalto i piloti si rialzano quasi denudati, le monopezzo di questi anni non resistono all’abrasione e per la sicurezza fanno davvero poco.
Non è un caso che Giacomo Agostini, forse l’unico pilota di quest’epoca a preoccuparsi del tema protezione, incontri Lino Dainese, giovane produttore di tute in pelle da moto che da poco si è affacciato sulla scena del Motomondiale, ma che già un anno dopo la fondazione dell’azienda vince un titolo iridato. Dainese nasce nel 1972, nel ’73 il tedesco Dieter Braun è Campione del Mondo della 250 con una tuta confezionata a Molvena.
La vecchia tuta di Giacomo è inizialmente composta da pannelli di pelle spessa 1 mm e pesa in totale 1 kg: a Lino ne richiede una spessa 2 mm, al costo di portarsi appresso un peso doppio. Allo stesso tempo si impegna per migliorare il casco. Sul finire degli anni ’60 in molti usano ancora la scodella, alcuni usano il jet, ma s’iniziano a vedere i primi integrali.
Il primo casco da moto integrale prodotto in Europa è un AGV, azienda con cui Agostini già collabora. Giacomo però non si accontenta delle prime versioni, ci sono troppe vibrazioni, instabilità, la visiera non offre una visibilità paragonabile a quella di un casco aperto. Ma non è un rifiuto categorico, Ago è disponibile a collaborare con AGV per migliorare il prodotto, capisce che in quanto a protezione è un passo in avanti enorme. È quindi con il contributo di Ago che nei primi anni ’70 arriva l’X3000 definitivo, il primo casco integrale utilizzato in gara da Agostini.
Ma l’impegno di Giacomo Agostini per migliorare la sicurezza di tutti i piloti va oltre. Nel 1972 assiste alla tragica morte di Gilberto Parlotti, collega pilota e amico vero sin dagli anni delle prime gare. La tragedia si consuma al Tourist Trophy sull’isola di Man, allora valido come prova del Mondiale. Giacomo si impunta, un tracciato stradale così pericoloso non può rimanere nel calendario: dall’anno successivo si rifiuta di partecipare. La sua presa di posizione, assieme a quella di altri, porterà all’estromissione della gara dal Mondiale dopo l’edizione ’76.
Un’azione su numerosi fronti quella di Giacomo, efficace anche come opera di convincimento nei confronti degli altri piloti in un periodo, gli anni ’70, in cui il tema della sicurezza inizia pian piano a rivestire un ruolo sempre più importante, grazie anche al contributo di Dainese, che nel 1979 introduce il primo paraschiena della storia.
È già uno sguardo verso la modernità, una prima presa di posizione che darà vita nei decenni successivi ad un’evoluzione dello sport sempre più rapida in questa direzione. Sia dal punto di vista dell’equipaggiamento dei piloti, i caschi si faranno sempre più solidi e le tute diventeranno dei veri sistemi di protezione integrata, sia da quello della sicurezza dei circuiti: si abbandoneranno i tracciati cittadini e si cercheranno spazi ampi con vie di fuga e barriere sempre più tecnologiche.
Giacomo Agostini. Pilota meticoloso, uomo lungimirante.