Carlo Pettinato, classe 1992, vivo per gli sport su ruote, con e senza motore, preferibilmente tassellate. Dal 2017 faccio parte del dipartimento marketing Dainese. Da che ho memoria, le mie passioni sono l’enduro, la mountain bike e i rally. Dopo anni sui campi di gara ho affiancato alla moto da fuoristrada una vecchia Honda Africa Twin. Mi si è aperto davanti agli occhi un nuovo mondo, assai più vasto e colorato. Quello delle esplorazioni. Partito dalla Sardegna, terra selvaggia a due passi casa, sogno le dune del deserto.
“Carlo, ho portato a casa l’Africa!”
È il mio amico Mirko, amico di auto, moto e mountain bike, che dopo anni di corteggiamenti ed invidie alla mia Africa Twin 750 del ’93 s’è finalmente deciso a metterne una propria in garage. Una RD04 del ‘91, il modello precedente al mio, ma poco cambia. Il punto, ora, è battezzarla come si deve.
“Io faccio il ponte del 2 giugno in Sardegna, andiamo a vedere il mondiale rally e facciamo qualche bel giro di fuoristrada nel nord-est dell’isola, ci sei?”
Mannaggia, non c’è. Bisogna inventarsi qualcos’altro. Ma niente paura, perché nel raggio di un’ora da casa le soluzioni non mancano. Nostro grande classico è un giro in moto sull’altopiano di Asiago. Vicino, ambientazione splendida e intrisa di elementi di rilevanza storica, ricco di sterrati legali praticabili in ogni condizione, anche sotto la pioggia. Il bello di questa zona è proprio l’abbondanza di strade bianche percorribili da chiunque, anche in automobile, cosa che i locali fanno quotidianamente. Non servono nemmeno gomme molto tassellate; qui con calma si va quasi ovunque anche con una moto più stradale. Come approccio al fuoristrada, per chi non abbia grande esperienza, è ottimo. Certo, con moto e pneumatici adatti si fa tutto in sicurezza e ce la si gode nettamente di più.
E così sia, eccoci già sulla A31 verso nord, in direzione di una giornata di enduro turistico sulle nostre bicilindriche vintage.
Tra un rinvio e l’altro è pieno luglio, in pianura fa caldo ma il clima in montagna è ovviamente più fresco e può cambiare in fretta. Oggi opto per una giacca touring estiva ventilata, l’ottima Dainese Desert, ma porto con me la sua fodera antivento e pure una giacca impermeabile. A casa nostra il tempo è bello ma non si sa mai. Pantaloni da fuoristrada leggeri abbinati alla giacca e stivali adventure con membrana Gore-Tex®, i Dainese Seeker, ottimo equilibrio tra protezione e comfort con una suola dal grip eccellente. Casco adventure AGV AX9 Carbon con immancabile occhiale da sole sotto la visiera, per lo meno finché c’è questo bel sole. Il mio compare opta per un completo quattro stagioni, il vecchio ma sempre valido Dainese D-Explorer, perfetto per tutte le condizioni, per ora con prese d’aria tutte aperte.
Sulle moto, per un giro in giornata così, c’è poco da fare: un porta telefonino per raggiungere l’attacco dell’itinerario è sufficiente. Noi, per non porre limiti al divertimento, abbiamo entrambi preparato le nostre Africa Twin con un bel paio di pneumatici tassellati cattivi, non l’ideale in quanto a durata e nemmeno strettamente necessari, ma il massimo quando si guida fuoristrada.
110 orari, a queste vecchiette non ci fidiamo poi tanto a tirare il collo, e in meno di un’ora siamo ai piedi del Costo, comune di Caltrano. Ma non siamo qui per pieghe e similari, quindi scegliamo una strada alternativa per lanciarci all’assalto dell’altopiano. Ci dirigiamo verso Calvene e poi saliamo in località Mortisa per la mitica “ps Cavalletto”, strada cara agli amanti dei rally su quattro ruote, un grande classico del Città di Bassano. Un nastro d’asfalto poco trafficato, mediamente stretto, tortuoso e nemmeno in condizioni spettacolari, ma con queste moto buche e sporco non sono un problema. Il bello è invece il paesaggio in cui è immerso, soprattutto avvicinandosi alla cima dell’omonimo monte, il monte Cavalletto. Si corre tra boschi e pascoli e il bello è notare il cambio della vegetazione all’aumentare della quota, si passa da quella collinare a quella di montagna, con pini e altre conifere.
Al famoso “salto”, deviamo verso sinistra in direzione “Giro delle malghe”, una bella strada misto asfalto e ghiaia che esce dal bosco e corre quasi a strapiombo sulla pianura con una vista spettacolare. Il meteo qui non è limpido come da noi, c’è qualche nuvola bassa e la nebbia che sale lungo il fianco della montagna. Condizioni che rendono il tutto ancor più avventuroso, anche se siamo a nemmeno 100 km da casa. Superiamo malga Serona, malga Foraoro, malga Sunio, malga Pau e malga Carriola. Sono zone che conosco bene ma non benissimo, ci sono passato varie volte ma ancora non ho imparato alla perfezione i sentieri. Ad un bivio, asfalto a destra, sterrato a sinistra: inutile dire quale scegliamo. Facendo due conti, dovremmo uscire a Cesuna nella zona del rifugio Kubelek. Qualche chilometro di strada bianca scorrevole immersa in un bosco che sembra scandinavo, in questa zona dell’altopiano di Asiago è in effetti tutto più o meno pianeggiante, ed eccoci dove avevo previsto.
Attraversiamo il centro di Cesuna e seguiamo la provinciale fino all’area picnic. Qui ci ributtiamo nel bosco, passiamo sotto la galleria dell’ex ferrovia del treno che saliva da Piovene Rocchette ad Asiago. Una storia interessante, questa della “Vaca mora”, una linea costruita a inizio ‘900 e soppressa negli anni ’50. Nata per trasporti a supporto dell’industria locale, fu ampiamente sfruttata per rifornire la zona dell’altopiano durante i combattimenti della Grande Guerra e venne infine impiegata per il trasporto di persone. Per gli appassionati di “archeologia” di questo tipo, val la pena approfondire.
Ma torniamo alle nostre Afriche e ai nostri sterrati in moto sull’altopiano di Asiago. Ci perdiamo e ritroviamo in un labirinto di strade e stradine, il punto di riferimento successivo è il cimitero inglese di Boscon, anche questo un luogo affascinante e perfettamente mantenuto. Più avanti, al “Bar Alpino”, niente altro che un rifugio in mezzo al bosco, seguiamo le indicazioni per monte Corno. Il meteo nel frattempo peggiora, la temperatura è ottima, siamo sui 20°C, ma il cielo è coperto e non promette nulla di buono.
Per il momento, però, siamo asciutti e ce la godiamo alla grande. Queste larghe e facili sterrate di pietra bianca sono uno spettacolo sotto ogni punto di vista. Sia che si percorrano a ritmo allegro in stile motorally o che ci si voglia godere l’ambiente e i profumi del bosco. Noi facciamo un po’ di entrambe, ci concediamo un po’ di divertimento ma riusciamo anche ad assaporare il momento.
Breve tratto d’asfalto tra il rifugio Granezza e il monumento al milite ignoto di monte Corno e di nuovo fuoristrada in direzione Turcio. Il meteo continua a peggiorare, ora siamo immersi nelle nuvole e sentiamo tuonare nemmeno troppo distante. Gli impermeabili li abbiamo a portata di mano, ma decidiamo di aspettare che inizi a piovere davvero.
Non dobbiamo attendere molto, perché se all’inizio cade solo qualche goccia rada, nel giro di cinque minuti ecco che diventa un vero temporale. Ci fermiamo, rapida vestizione e in un attimo siamo pronti a ripartire. Ma attenzione, inizia pure a grandinare. Uno sguardo d’intesa e appena fuori dal bosco ci rifugiamo nel primo ristorante che incontriamo. Tutto sommato ci va di lusso, abbiamo preso acqua per neanche dieci minuti e la grandine per un paio. Moto sotto una tettoia e noi con gambe sotto la tavola. Dopotutto è mezzogiorno e quaranta e la fame non manca.
La pausa pranzo si prolunga un po’ più del dovuto a causa della pioggia che non molla, ma l’atmosfera non è niente male e le chiacchiere che si sprecano servono anche a definire il prosieguo del nostro giro. Con la dovuta pazienza le nuvole se ne vanno, il sole torna a splendere e possiamo ripartire. Direzione Gallio e poi su verso il rifugio Campomulo. Dopo Campomulo si torna sullo sterrato, ancora immersi in una rigogliosa foresta di pini. Il terreno è eccellente nonostante la pioggia abbondante. Il fondo roccioso drena alla grande, non c’è il minimo accenno di fango e, anzi, l’acqua ha eliminato del tutto la possibile polvere. Giusto qualche pozza per giocare come bambini.
Dal monte Fior la vista è spettacolare. Il temporale ha portato via la foschia e ora che il cielo si è aperto godiamo di un panorama eccezionale. Scorgiamo in lontananza i nostri Colli Euganei, verso est si scorgono chiaramente la laguna di Venezia e il mare Adriatico; sotto di noi, che sembra quasi di cascarci dentro, la Valsugana e poi il massiccio del Grappa. Guidiamo rilassati tra pascoli verdissimi in totale solitudine. L’unica presenza umana è quella di un pastore che ci saluta con un cenno del capo e mezzo sorriso.
Alla fine dello sterrato sbuchiamo nei pressi della piana di Marcesina, una vasta radura a cavallo tra Veneto e Trentino che rientra per lo più nel territorio di Enego. Anche questo luogo un piccolo paradiso, fino a prima della tempesta Vaia del 2018 ancor di più. A causa della pausa pranzo prolungata, saltiamo a piè pari la deviazione che ci avrebbe riportato verso Campomulo e poi verso malga Mandrielle. Percorriamo invece tutta la strada asfaltata verso e oltre gli impianti di Enego 2000 fino all’imbocco della salita verso forte Lisser. Un’altra strada bianca che corre inizialmente attraverso un bosco di faggi attraverso cui filtrano a stento i raggi del sole, regalando giochi di luce di rara bellezza, poi fuori e in mezzo ai prati. Il fondo è mantenuto in maniera esemplare, tanto da far sentire in colpa a dare quattro manate di gas per mettere l’Africa di traverso tra una curva e l’altra. Ci tratteniamo…
In cima al monte Lisser, manco a dirlo, la vista a 360° è mozzafiato. In più rispetto a prima c’è tutto il panorama delle Dolomiti. Si stagliano lì davanti, che sembra di poterle toccare, le Pale di San Martino e a fianco di queste si distingue la scura catena del Lagorai. Giriamo con le moto attorno al forte, ci fermiamo e le spegniamo per assaporare il silenzio rotto solo dal vento sferzante e apprezzare la rilevanza storica del monumento. Il forte Lisser è una fortezza costruita tra il 1911 e il 1914 a difesa del confine tra Italia e Austria-Ungheria, dagli anni ’90 è proprietà del comune di Enego, che si è occupato del restauro, e oggi versa in buone condizioni ed è visitabile.
Una foto al paesaggio, poi il momento clou dell’intera giornata.
“Carlo, ma a che pressione tieni la gomma dietro?” “Non l’ho controllata, sarà sui 2 bar!” “Mi sembra un po’ sgonfia…”
Ma non è solo sgonfia. È a terra del tutto. Segue lunga lista di improperi, ma penso subito al da farsi per risolvere la situazione (e dimentico di scattare almeno una foto al forte, peccato…). Nel frattempo, identifico e rimuovo un bel chiodo arrugginito che spero almeno sia un antico reperto di guerra.
E quindi, come riparare una gomma bucata? Fortuna vuole che sia venerdì, quindi i gommisti sono aperti. Scendiamo con calma da dove siamo saliti, nel frattempo ragiono. Bassano non è così distante, di sicuro troverei un gommista; tuttavia, decido di cercare qualcosa rimanendo in altopiano, anche se sono le 16 passate e il giro sarebbe finito in ogni caso, e puntiamo così verso Asiago.
Passo gran parte dei 23 km di asfalto a ringraziare il signor Mitas per le gomme che produce. Questa E09 è praticamente una runflat, sul dritto tengo tranquillamente gli 80 orari, ma potrei andare anche di più, e solo in curva devo stare un po’ attento perché la discesa in piega non è propriamente ottimale. Mi sfiora il pensiero di tornare così fino a casa, ma a fare 100 km la consumerei irrimediabilmente e poi sarebbe da buttare. Ad Asiago troviamo un gommista aperto, mi arrangio a smontare e rimontare la ruota per far prima, cambio di camera d’aria e siamo pronti a tornare.
Ma non prima di rompere il filo della frizione, poco dopo essere ripartiti. La butto in ridere, ho tutta la discesa del Costo per elaborare una strategia da adottare per ripartire dal casello dell’autostrada…