Casse 1990, ho sempre amato il mondo delle moto. Fin dai 12 anni ho iniziato a sfogliare riviste e brochure alla ricerca della moto dei miei sogni. Da quando ho finalmente potuto sedermi sul mio primo mezzo “serio”, una Aprilia Tuono 50, ne ho sempre avuta almeno una in garage. Fin dalla mia primissima avventura – il giro completo del lago di Como – il viaggio in moto rappresenta per me una parte imprescindibile della mia vita: un modo per conoscere e conoscersi, esplorare ed esplorarsi, vivere vivendo.
Io e la mia Ktm siamo al porto di Larne, Irlanda del Nord, dopo una settimana trascorsa tra Italia, Svizzera, Francia e Irlanda. Siamo in attesa dell’imbarco sul nostro primo traghetto della giornata, che salperà a breve. Dall’altra parte del mare, la Scozia. È un momento di pausa, ma dall’attracco a Cairnryan in poi è già tutto programmato. Appena sbarcato dovrò, senza soste, raggiungere a Kennacraig l’imbarco per il secondo traghetto, che mi porterà sull’isola di Islay, dove passerò la notte. Circa 4 ore e mezza di strada. Non ho potuto prenotare in anticipo il traghetto successivo – nemmeno per una moto c’era più spazio - e ora le tempistiche sono un po’ ristrette, considerato anche che dovrò lambire Glasgow e mi aspetto per questo motivo di trovare traffico in strada.
Sono nel bel mezzo di un viaggio ad anello con partenza ed arrivo a Bolzano, città dove abito. La prima parte dell’itinerario ha previsto l’attraversamento dell’Europa in direzione dell’imbarco per l’Irlanda a Cherbourg, Francia. Da Rosslare mi sono diretto verso la famigerata Wild Atlantic Way, uno spettacolare percorso che corre lungo la costa occidentale dell’isola, affacciato come suggerisce il nome sull’oceano Atlantico. Ed ora eccomi qui, in Scozia, ad iniziare la seconda parte del mio viaggio.
Allo sbarco parte quindi il mio “rally” di circa 300 km, in cui mi fermo solo una volta per combinare rifornimento e bisogni fisiologici. Noto subito che però, al contrario di quanto sostenuto dalla signora del B&B nord-irlandese, la Scozia è diversissima dall’Irlanda: a sentir lei i due paesi sono uguali, con la sola differenza che il popolo irlandese è più cortese e simpatico!
Questa parte ad ovest è dominata dai celeberrimi “loch”, sostanzialmente dei fiordi, che mi ricordano molto la Norvegia o il nord-ovest dell’Islanda, anche se più in piccolo. Le strade sono ricchissime di sali-scendi e tratti estremamente godibili (segnalo il tratto da Garelochhead ad Arrochar, la cittadina di Inveraray, e la Argyll Coastal Route, che sto percorrendo in parte oggi, in parte domani e dopodomani), ma è bene guidare sempre con un certo giudizio: noto che poiché alcune cunette sono veramente profonde, non sembra essere così raro che qualcuno dal senso opposto perda un po’ l’orientamento, invadendo la corsia opposta, soprattutto se in leggera curva. Da starci attenti.
Riesco ad arrivare al mio imbarco, e approfitto del paio d’ore di traversata per Islay per rilassarmi un po’. Lo faccio anche troppo, vista l’eccessiva energia (ed imprudenza) con cui, appena sbarcato, mi butto in un fuoristrada almeno inizialmente alla portata, che si trasforma poi in un inferno di fango. Mi maledico mille volte per essermi cacciato in una situazione del genere, appena sbarcato su un’isola, con moto carica e con conoscenza della zona molto limitata. Con pazienza e usando almeno ora il cervello ne esco senza problemi ulteriori a me o alla moto. Sospiro di sollievo e si continua!
Aver preso il traghetto prima di quello che avrei voluto, mi concede più tempo per esplorare Islay, prima di andare all’ostello: l’isola è famosissima per le sue numerose distillerie di whisky di eccelso livello. Ad oggi, su questa piccola isola vivono circa 3.000 abitanti e sono operative 9 distillerie (sulle 130 totali in Scozia). Fate un po’ voi i conti di cosa significhi la produzione di whisky per questa piccola fetta di terra dominata dalle torbiere.
Domani ho già una visita prenotata alla distilleria Laphroaig, ma approfitto che oggi sia domenica (ormai sera) per andare a curiosare un po’. E infatti, sono subito premiato: chiedo a due operai se posso spostare la moto in una zona solitamente vietata al transito/visita per avere una bella foto ricordo del momento. I due guardano la targa, si guardano loro, e mi danno il via libera sorridendo.
Mentre scatto qualche foto il mio naso si permea del profumo del malto della distilleria, qualche onda pigramente raggiunge il bagnasciuga (la distilleria è fronte-mare), il sole inizia a colorarsi di rosso vivo. Mi godo ancora per qualche attimo il silenzio operoso della distilleria, e la lascio per raggiungere l’ostello. Domani mattina, in ogni caso, sarò ancora qui.
Visto che ieri mi sono permesso parecchie deviazioni senza poter fare benzina (non esistono benzinai automatici sull’isola, e ieri era inoltre tutto chiuso perché domenica) sono abbastanza a secco di carburante. Dopo un piccolo imprevisto ad una stazione di servizio dove sembrava la pompa non andasse, riesco fortunatamente a rifornire e mi avvio di nuovo verso la distilleria Laphroaig. La visita guidata, per chi sia interessato al mondo dei distillati, è assolutamente da non perdere. Un sacco di informazioni interessanti, e la consapevolezza di essere in visita ad un luogo veramente iconico.
Complice il fatto che ieri sono arrivato prima del previsto ad Islay, non mi rimane granché da vedere: l’isola dal punto di vista paesaggistico non ha molto da offrire, anche se alcuni scorci di mare e calette sono veramente incantevoli. Se, tutto sommato, non siete interessati al mondo del whisky, è una deviazione che si può anche saltare. In ogni caso, soddisfatto della mia visita qui, riesco con un colpo di fortuna ad anticipare il mio traghetto per ritornare sulla “mainland”: questo mi permetterà di poter continuare con calma il mio viaggio sulla Argyll Coastal Route verso Oban, dove ho prenotato l’ostello.
Scelta che si rivela azzeccata, visto che la strada verso Oban è inaspettatamente ricca di curve – per lo standard di qui – e molto divertente, me la godo proprio. In vista di Oban prendo due goccioline d’acqua, ma sono sufficienti giusto per sporcare ulteriormente la moto, dopo il fango preso ieri.
Oban è veramente una cittadina bellissima, imperdibile per chiunque passi da queste parti. Il suo biglietto da visita è la torre McCaig, ad imitazione di un antico anfiteatro romano, e il suo bellissimo porto, da cui si possono raggiungere varie località delle Isole Ebridi. Non per ultimo, per chi è buongustaio come me, è definita la “Seafood Capital of Scotland”, ovvero la capitale scozzese dei frutti di mare: dopo una doccia rapidissima mi lancio quindi in zona porto, da The Fishbox, dove mangio il fish&chips di gran lunga più buono che io abbia mangiato in vita mia. Orgasmico.
Ritorno in ostello contento e con la pancia piena, e sento che i miei compagni di stanza stanno chiacchierando dell`isola di Skye, dove entrambi sono stati oggi. Siccome però io ci dovrò andare domani, preferisco non avere spoiler… saluto tutti, mi metto i tappi nelle orecchie, e buonanotte.
Ancora una volta sfrutto le mie innate qualità da ninja per abbandonare la camera dell’ostello senza svegliare gli altri ospiti, e mi metto in moto.
Sono pianificati circa 400 km per oggi, e dopo due ore ne ho coperti già 160, che ho affrontato più come trasferimento per poter girare l’isola di Skye in lungo e in largo con molta calma. Nel caso organizzaste il giro diversamente, sicuramente meriterebbe un approfondimento la zona di Glencoe, notevole dal punto di vista naturalistico. I paesaggi “da fiordo” trovati da Oban fino a qui cambiano improvvisamente da quando ci si immette sulla A87: iniziano a comparire montagne più alte, fa capolino la neve sulle loro cime, le valli si fanno più strette; fino a che, finalmente, supero il ponte che porta sull’isola, con la mente piena di aspettative. Questo è il luogo dove sono state girate scene di film del calibro di Star Wars, Prometheus e molti altri.
Ne inizio l’esplorazione dalla penisola che si trova nella zona sud-est, e posso tranquillamente dire che è una zona da sorvolare: molti chilometri che lasciano ben poco, interessante la stradina sul lato ovest che va da Achnacloich ad Ord, da dove si intravedono le “alte” montagne della parte nord dell’isola ma, tutto sommato, anche a posteriori, eviterei di spendere tempo e chilometri qui.
A questo punto ritorno, deluso, sulla strada principale (la A87) in direzione nord e finalmente inizio a trovare qualcosa di quello che mi aspettavo: “l’anello” a nord di Portree, che passa poi da Duntulm e Ulg, ha paesaggi veramente imperdibili: montagne che ricordano, anche se molto più in piccolo, la drammaticità delle nostre Dolomiti, scogliere a picco sul mare (Bornisketaig), cottage che punteggiano un paesaggio verdissimo incorniciato dal blu di una baia bellissima (Stenscholl). Come se non bastasse, ci si puó avventurare in questa area in qualche fuoristrada che regala veramente scenari da cartolina. Non ho l’impressione del “wow” che mi aveva dato Achill Island, ma siamo comunque a livelli molto alti.
La zona più a ovest dell’isola la visiterò domani, quindi dall’estremo nord dell’isola scendo nuovamente verso sud, attraverso però strade secondarie. Non trovo paesaggi a livello dell’anello nord, e mi concentro quindi più sul godermi la strada e la guida. Arrivo nella zona di Glenbrittle, dove ho l’ostello, che si presenta ricca di montagne. In qualche modo ritorna, a livelli però inferiori, quella drammaticità paesaggistica che mi aveva trasmesso l’anello a nord di Portree. Se siete appassionati di luoghi “instagrammabili”, in questa zona sono imperdibili le celeberrime “Fairy Pools”; che io invece ho preferito sorvolare andando comunque a visitare formazioni geologiche del tutto comparabili nelle immediate vicinanze, ma che non erano assaltate da orde di turisti.
Arrivo all’ostello con una sensazione agrodolce: sicuramente ho visto degli angoli particolari ed unici, ma nel complesso l’isola (benché a fine giornata abbia fatto oltre 520 km rispetto ai 400 km previsti inizialmente) non mi ha folgorato con quella bellezza stordente che mi sarei aspettato. Insieme ad una ragazza tedesca che sta girando la Scozia in bicicletta parliamo di questo ed altro: l’ostello non ha Wi-Fi, e nemmeno arriva segnale telefonico. Per una sera, paradosso forse del fatto di essere non lontani dal posto piú fotografato dell’isola, non c’è posto per social-network e parole virtuali, ma solo per nuovi incontri, chiacchiere vere e racconti di viaggi, esperienze, vita, a quattr’occhi.
Io in moto, lei in bici, ci allontaniamo insieme dall’ostello. Abbiamo esattamente la stessa meta, con la sottile differenza che per lei sarà l’obiettivo di giornata, per me invece un luogo da raggiungere senza dubbio entro il primo paio d’ore di guida: il faro di Neist Point, nell’estremo nord-ovest dell’isola. La scogliera su cui è situato, vista alle prime luci del giorno, è decisamente suggestiva: penso che con il sole calante verso ovest, che la illumini così dal lato “giusto”, sicuramente lo sarebbe ancora di più.
Da qui, dopo aver visitato le ultime zone a nord, mi dirigo verso Bracadale, da dove imbocco il passo “di montagna” che mi riporterà a Portree, sulla A87. E proprio in cima al passo… sorpresa! Tre caccia militari passano radenti al suolo ad una velocità impressionante, facendo un rumore assordante. Pianto la moto in mezzo alla strada per cercare di strappare un paio di foto al volo con lo smartphone, notando che si stanno preparando per un secondo passaggio: wow, che botta di adrenalina!
Ancora eccitato dall’inaspettato incontro seguo la A87 verso sud, visto che a breve abbandonerò l’isola di Skye per poi iniziare il percorso della famosa NC500 (North Coast 500): la strada panoramica di 516 miglia che unisce tutta la costa delle Highlands scozzesi, senza dubbio uno degli obiettivi principali di tutto questo viaggio.
Inizio il mio viaggio sulla NC500 da Loch Carron, impostando l’itinerario in senso orario. E subito, un paesaggio veramente da cartolina: affronto il “Pass of the Cattle” fino ad Applecross, e poco prima della cima mi fermo per fare qualche doverosa foto. Mi guardo attorno e penso che quello che vedo è decisamente come mi immaginavo la Scozia!
Appena sceso dal passo verso la baia di Applecross - suggestiva vista dall’alto – mi riavvicino al mare e… seconda sorpresa “militare” del giorno: a poche centinaia di metri da me sta navigando un sottomarino! Mai ho visto prima un sottomarino in regolare navigazione. Ci facciamo compagnia per tutta la strada verso un promontorio a qualche decina di km a nord, io mi fermo di tanto in tanto per fare qualche foto, visto che sono decisamente più veloce di lui. Arrivato al promontorio incontro un ragazzo che mi dice che non lontano c’è una base militare e lui lavora proprio lì: non è molto comune, ma nemmeno una cosa così unica vedere navigare sottomarini in queste acque. In ogni caso lo stuolo di gente che si ferma a fare foto e a “salutare” il sottomarino prima che scompaia all’orizzonte mi suggerisce che anche per i locali non sia cosa di tutti i giorni.
Da qui in poi la strada prosegue senza infamia e senza lode fino al mio traguardo di giornata fissato a Gairloch. Il tempo è soleggiato, c’è pochissimo vento, il mare molto calmo: ho quasi la sensazione di non essere a ridosso dell’oceano. Arrivato all’ostello faccio volentieri due chiacchiere con il gestore, a cui racconto anche dei miei incontri “militari”, mostrando la mia sorpresa. Mi dice di aspettare ad essere sorpreso, visto che il giorno dopo, proseguendo il mio itinerario verso nord, passerò a ridosso del poligono militare di Cape Wrath all’estremo nord-ovest della Scozia, unica area nell’emisfero nord dove vengono fatte esercitazioni congiunte con forze NATO di terra, mare ed aria. Se sono fortunato, mi dice, assisterò a qualche spettacolo decisamente particolare. Me ne accorgerò perché talvolta anche le strade vengono temporaneamente chiuse. Mi metto a letto e, vedendo come è andata oggi, un po' ci spero.
La giornata di oggi mi porterà dalla costa ovest delle Highlands alla costa nord, percorrendo poco meno di 300 km. Giornata che si prospetta quindi piuttosto breve.
L’aria fresca del mattino mi dà la sveglia nei primi chilometri, non proprio entusiasmanti, fino a raggiungere la gola di Corrieshalloch, che è una delle non numerosissime riserve naturali nazionali. Assolutamente consigliata la sosta, visto anche che la breve camminata che porta a vedere degli scorci piuttosto impressionanti è assolutamente fattibile anche completamente vestiti da moto, vantaggio non indifferente: i punti da raggiungere sono due, una piattaforma da cui si vede molto bene il torrente che scorre nella gola, ed un ponte sospeso caratterizzato da dei parapetti a mio parere pericolosamente bassi…se soffrite di vertigini non è il posto per voi.
Risalgo in moto e, visto l’anticipo sulla tabella di marcia, decido di prendermela comoda dedicandomi a qualche deviazione dalla strada principale: finisco così nella veramente straordinaria Achnahaird Bay, sicuramente uno dei posti più belli che ho visto da quando sono qui in Scozia: già la strada per arrivarci è un tripudio di fioriture gialle che mi accompagnano per chilometri, la baia poi si presenta con acqua del colore del miglior mare della Sardegna. Sembra incredibile a dirsi – e anche a vedersi, mi stropiccio gli occhi un paio di volte per essere sicuro di vedere bene – ma è proprio così: dovete solo essere fortunati che ci sia il sole ad illuminare la giornata, altrimenti i riflessi di verde smeraldo vireranno inevitabilmente verso il grigio cenere. Approfitto del bel momento per fare anche un breve spuntino con dei biscotti al cheddar – dal sapore decisamente discutibile – acquistati un po' imprudentemente il giorno precedente, ed una banana.
Da Ullapool continuando verso nord il paesaggio si fa più montuoso e brullo, il vento soffia più forte, il verde lascia spazio ai colori più tipici della brughiera che ancora deve svegliarsi completamente dai torpori invernali. Prima di abbandonare definitivamente la costa ovest per trasferirmi su quella nord, c’è tempo per annotare ancora qualcosa sul taccuino di viaggio: la deviazione per il tratto di costa compreso fra le spiagge di Oldshoremore e Sheigra è un piccolo paradiso, soprattutto se avete la fortuna (purtroppo qui mi è andata male) di poterla fare con il sole ad illuminare le acque coloratissime che bagnano queste piccole spiagge un po' fuori dall’itinerario “classico”.
Tornato sulla strada principale, non mi rimane che costeggiare il poligono di Cape Wrath per raggiungere la costa nord. Non odo nessuna attività provenire dal poligono, tutte le strade sono normalmente aperte, ne deduco quindi che oggi non aggiungerò probabilmente nulla alla lista dei miei incontri “militari”. Poco male, anche perché inizio ad essere un po' stanco. Tuttavia, appena raggiunta la costa nord, non posso che fermarmi a fare due passi sul bellissimo promontorio di Balnakeil Bay (con annessa spiaggia): dopo tante piccole baie, finalmente una baia che oserei definire di dimensioni “irlandesi”. Per quelli che sono i miei gusti, sicuramente un ottimo biglietto da visita di questa nuova costa. Risalito in moto, concludo la mia giornata a Tongue e non vedo l’ora di ripartire domani per visitare questa area che già mi è sembrata così diversa rispetto all’ovest.
Le brevi impressioni di ieri sono immediatamente confermate dai primi chilometri: qui i “loch” hanno lasciato il posto ad alte scogliere, il mare sembra decisamente più “oceanico” e selvaggio, le spiagge sono ampie, sabbiose, incorniciate da dune di sabbia da un lato e da acque cristalline dall’altro: Strathy Bay o Melvich Bay ne sono ottimi esempi.
Il paesaggio cambia di nuovo avvicinandosi all’estremo nord-est: ricompaiono prati e pascoli e mi pare, di colpo, di essere tornato in Irlanda. Questo cambio di paesaggi è però giustificato da dei motivi particolari: noto infatti immediatamente che le lande desolate di pochi chilometri prima lasciano ora spazio a villaggi, paesi e addirittura città (Thurso, la città più a nord del Regno Unito, escludendo le isole) di dimensioni ragguardevoli. Ne trovo la ragione in una vecchia base militare fondata nell’immediato secondo dopoguerra, oggi in via di dismissione, nei pressi di Dounreay, dove veniva condotto lo sviluppo e i test di reattori nucleari desinati sia all’uso civile che all’uso militare (per sottomarini). La base è dominata da una “sfera” visibile già da molti chilometri di distanza, e da numerose altre infrastrutture oggi utilizzate in maniera decisamente diversa da ciò per cui erano state concepite – noto ad esempio una amplissima pista di atterraggio utilizzata come parcheggio per auto. Mi immagino negli anni ’50 quante risorse economiche e indotto questa base abbia portato alla locale popolazione, e mi dò quindi una risposta (sicuramente parziale) sui motivi per cui in pochi chilometri ho veramente assistito ad un cambio radicale dei paesaggi che sto attraversando.
Mi lascio quest’area un po' “sinistra” alle spalle e proseguo il mio viaggio verso est: dopo aver attraversato Thurso raggiungo il promontorio di Dunnet Head, il punto più a nord del Regno Unito (di nuovo, isole escluse). Al di là dell’importanza geografica che si può attribuire o meno al luogo, sicuramente una visita qui vale la deviazione: il faro sembra osservare con attenzione l’arcipelago delle isole Orkney, appena più a nord. L’oceano romba sotto di lui, schiantandosi su alte scogliere scure, dove numerosi uccelli marini, fra cui le bellissime pulcinelle di mare, che ho potuto ammirare, creano i propri nidi. Se non è una cartolina questa immagine qui! In aggiunta a tutto ciò, una nota di colore piuttosto interessante è che questo faro (come molti altri da queste parti) è stato progettato nei primi dell’800 dal nonno del famoso Robert Louis Stevenson, autore “classico” del quale io sono stato avidissimo lettore durante il periodo scolastico per via delle avventure pazzesche che mi faceva vivere attraverso la sua penna (autore, fra le altre cose, di capolavori quali “L’isola del tesoro”, “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” e “La freccia nera”): insomma, che crossover!
Pensando a certe incredibili coincidenze della vita mi sposto verso John o’ Groats, cittadina all’estremo nord-est di tutta l’isola britannica. Mi rendo immediatamente conto dell’indecifrabilità del luogo: si rivela una via di mezzo piuttosto mal riuscita fra un trappolone per turisti (immancabile il classico cartello che riporta le distanze rispetto ad altri luoghi nel Regno Unito e nel mondo) e un resort per vacanze a cinque stelle con abitazioni super-lusso: insomma, sosta evitabile.
Risalgo rapidamente in moto e mi dirigo proprio nell’angolino estremo a nord-est della Scozia, a Duncansby Head. Luogo che per certi versi mi ricorda l’appena visitato Dunnet Head, con però qualche peculiarità interessante: innanzitutto, per via della sua posizione e dello “scontro” di correnti che qui si genera, molto spesso qui si crea una corrente estremamente visibile che punta verso nord ad una velocità di circa 10 nodi: impressionante da vedere – sembra un fiume che scorre nell’oceano – immaginate cosa poteva significare varcare questo capo controcorrente con barche non a motore. Inoltre, da questo capo, guardando verso sud si possono ammirare i “Duncansby Stacks”, dei pinnacoli di roccia – naturali si intende – “piantati” a pochi metri dalla costa, di una drammaticità e bellezza assolutamente rimarchevole. Mi avvio verso la moto con gli occhi ancora pieni di queste meraviglie e una donna mi avvisa, dal nulla, che stanno arrivando delle orche da sud: è previsto che passeranno da qui nei prossimi 15-20 minuti, quindi se le voglio vedere è meglio che rimanga qui. La naturalezza e genuinità con cui mi dice questa cosa mi lasciano per un momento interdetto, ma decido di rimanere. Nel frattempo, gruppi di auto arrivano di continuo al promontorio, e ne discendono fotografi super attrezzati che, di corsa, si dirigono sul ciglio delle scogliere del promontorio. Ne deduco che si, qualcosa di importante sta per accadere.
Inganno il tempo chiacchierando e chiedendo informazioni ai presenti e, finalmente, compare un gruppo di 4-5 orche, che nuota verso nord, il loro sbuffo di acqua e la loro pinna sempre ben visibile. Si inseriscono nella corrente che ho notato in precedenza, direzione isole Orkney: che dire, l’ennesima prima volta. Mai avevo visto prima delle orche nel loro ambiente naturale, da relativa breve distanza: uno spettacolo della natura, parole forse banali ma che nel loro significato letterale descrivono perfettamente quello che ho davanti gli occhi.
Risalgo questa volta veramente in moto, ancora incredulo, e inizio la mia discesa verso sud, direzione Helmsdale. La costa prosegue, bellissima, e penso che questi paesaggi sono molto più interessanti di quelli che ho visto ad ovest. Riavvolgo mentalmente la giornata di oggi: sono in giro da quasi due settimane, ma ancora ho avuto tantissime occasioni per sorprendermi. E chissà cosa mi aspetterà nei prossimi giorni. Il bello di un viaggio.
La giornata inizia un po' malinconica, pensando al mio ultimo giorno sulla NC500: oggi infatti arriverò ad Edimburgo, città che sono curiosissimo di esplorare, ma che inevitabilmente segna un punto importante nella prospettiva del termine di questo viaggio.
I paesaggi a sud di Helmsdale fortunatamente mi rinfrancano subito: ancora spiagge enormi, che si estendono a perdita d’occhio, accompagnano il mio incedere verso sud. Se ne dovessi scegliere una, direi che “Embo beach” è decisamente fra le più suggestive.
Proprio da qui la strada abbandona la costa per passare più verso l’interno, e ha veramente poco da dire. Questa deviazione della strada lontano dal mare mi ispira però a deviare un po' dal mio percorso originario, approfittando per passare dal famoso “Loch Ness” e dalle cosiddette “snow roads” del Cairngorms National Park. Che dire di Loch Ness: sicuramente non un posto eccezionale, ma potete dire di essere stati in Scozia senza perlomeno passarci? Devo anche dire che, sarà per il tempo un po' nuvoloso che ne colora le acque di grigio, ma un certo alone di mistero si respira. Faccio una pausa sulle rive del “loch”, approfittando per uno spuntino mattutino e per aggiungere il layer del piumino alla mia giacca: l’umidità molto elevata di queste zone interne mi fa soffrire più del dovuto i 10° C di temperatura atmosferica.
Ben vestito e pronto a tutto - forse troverò un po' di pioggia - mi dirigo verso il Cairngorms National Park. Vado subito al sodo: i paesaggi scozzesi più belli li ho visti qui. Non solo le strade sono molto divertenti, ma certi scorci sono qualcosa di veramente eccezionale: il tratto da Ballater a Spittal of Glenshee è di rara bellezza, in qualche modo mi ha ricordato, da lontano, i paesaggi pazzeschi che si trovano in cima all’Albulapass, in Svizzera. Sotto il casco, dietro ogni curva, non faccio che ripetere: “wow!”.
E poi, purtroppo, il parco nazionale finisce: proseguo verso Perth senza che nulla mi colpisca particolarmente, tanto che da qui decido addirittura di prendere l’autostrada che mi porterà direttamente ad Edimburgo. Arrivando un po' prima del previsto, avrò più tempo per girare per la città. Arrivato all’ostello, il proprietario, motociclista anche lui, mi fa parcheggiare la moto praticamente dentro all’edificio, per paura di eventuali furti. Vorrei spiegargli che dubito che la situazione possa essere peggio di alcune città italiane in cui sono stato, ma mi adeguo senza discutere ai suoi consigli/ordini.
Una doccia, mi vesto “in borghese”, e sono in un baleno ad esplorare la bella Edimburgo: faccio più di 10 km di camminata, mi concedo una bella cena e qualche ora di sonno in meno, capitalizzando questa ultima serata che passerò in Scozia. Domani, infatti, dopo un breve trasferimento, mi aspetta a Newcastle il traghetto che mi riporterà - è proprio il caso di dirlo – in Europa. Tradotto: viaggio quasi finito.
Mi sveglio un po' prima del previsto e navigo su Google Maps alla ricerca di qualcosa che potrei fare/vedere sulla strada per Newcastle: scopro che passerò proprio di fianco al “National Museum of Flight” e che, sorpresa delle soprese, lì ospitano uno dei Concorde!
Non mi serve altro: mi vesto in fretta e furia, carico la moto e via, direzione East Fortune Airfield. Preso dall’eccitazione della casualità di questa visita non prevista, mi rendo conto che non ho guardato gli orari di apertura: e infatti, arrivo ai cancelli del museo 45 minuti prima dell’apertura. Ne approfitto per fare un mini-tagliando della moto – controllo olio motore e catena – e per passeggiare un po' per il campo di volo. All’arrivo del bigliettaio – che mi esprime il suo stupore nel vedermi fuori dal cancello come un fan all’apertura cancelli di un concerto – compro il mio biglietto e mi fiondo all’hangar del Concorde.
Per 10 minuti, ad eccezione dell’addetto del museo, siamo soli: io e questa macchina incredibile. Pazzesca pensata oggi, miracolosa se pensata nell’immediato dopoguerra. Una creatura metallica in cui ogni rivetto, pulsante, superficie, grida di un sogno diventato realtà, esprime il genio e la capacità realizzativa della razza umana. La concretizzazione dell’impossibile. Benché il museo abbia qualche altro bel pezzo da 90 (ad esempio un Avro 698 Vulcan che ha partecipato alla guerra delle Falkland), nulla si può avvicinare al fascino irresistibile del Concorde.
Termino la visita a tutti gli hangar e mi rimetto in moto: da qui in poi non ho previsto deviazioni, ma vado dritto dritto a Newcastle, all’imbarco del traghetto. Mi faccio cullare dalla strada fino al confine fra Scozia ed Inghilterra e da qui decido di entrare in autostrada, in breve tempo sono all’imbarco. Una volta a bordo, come mio solito, salgo sul ponte più alto a vedere il rilascio degli ormeggi: è tempo di salutare la Gran Bretagna, da domani sarò più vicino a casa e, soprattutto, non ci sarà un qualche mare a dividere me e il mio ritorno a casa. Domani arriverò ad Amsterdam e mi prenderò 3 giorni di pausa dalla moto, facendo un po' il turista. Il viaggio in moto è praticamente finito, ma la vacanza ancora no.
Dopo 3 giorni bellissimi passati in una delle città più incantevoli d’Europa – sono fermamente convinto che Amsterdam con il sole sia addirittura tra le più belle del mondo – mi rimetto in marcia. Colazione ad Amsterdam ed aperitivo a Bolzano, questo è l’obiettivo. Alle 7 mi metto in moto ed inizio la mia noiosissima discesa verso Sud: l’unico “brivido” lo vivo fermato dalla polizia nei pressi di Düsseldorf che, evidentemente ritenendomi un assiduo consumatore di droghe, nel mezzo di un parcheggio mi sottopone a test quali stare in piedi su un piede solo ad occhi chiusi, toccarmi il naso sempre con gli occhi chiusi, camminare lungo una linea. Se non altro, approfitto per sgranchirmi le gambe.
Rimessomi in sella, le centinaia di km che mi separano dall’Italia passano come da previsione: dopo 10 ore dalla partenza, sono a casa.
Si mette in moto il cervello ripensando al vissuto delle ultime (quasi 3) settimane: i posti che hanno deluso, quelli che hanno mantenuto le aspettative, quelli che hanno sorpreso. La gratitudine per poter vivere i momenti che ho vissuto, la moto che non ha mai avuto mezzo sussulto in più di 7000 km (Irlanda + Scozia), il “grazie” a chi anche lontano ho sentito vicino, visto che il 24 aprile è stato anche il mio compleanno e ancora a qualcuno devo rispondere propriamente. Ma soprattutto, il cervello porta, come ogni volta alla fine di un viaggio, gli occhi sulla mappa e scatena la domanda delle domande: “dove la prossima volta?”.
Per muovermi ed orientarmi, in questo come in tutti i miei viaggi, uso un GPS Garmin in cui precarico a) le mappe topografiche più aggiornate possibili al momento della partenza, includendo anche le linee di livello come layer aggiuntivo; b) le tracce gpx di ogni itinerario giornaliero.
Le mappe topografiche permettono di ricavare una conoscenza molto dettagliata di quello che vi circonda in qualsiasi punto vi troviate. Le mie indicano in maniera precisa anche la presenza di strade sterrate, e anche se lo sterrato è più “strada” oppure più “sentiero”: un innegabile vantaggio quando ci si muove in territori nuovi. Se poi si sovrappongono anche le linee di livello, si riesce a conoscere l’eventuale pendenza che si dovrà superare sul percorso sterrato. Senza osare troppo, considerato che ero sempre in giro a pieno carico, alcuni tratti di fuoristrada mi hanno regalato dei bei sorrisoni. Le tracce .gpx allegate a questo articolo sono quelle originali che ho usato durante il viaggio: alcune deviazioni riportate nel racconto non sono indicate in quanto, appunto, frutto “dell’improvvisazione”. Le potete però desumere leggendo il testo.
Con la pianificazione in anticipo dell’itinerario (e la produzione dei percorsi .gpx da caricare sul GPS) già prima della partenza avevo prenotato tutti gli ostelli dove ho passato le notti. Se avete letto il racconto, avrete notato che comunque questo ha permesso largo margine di manovra e improvvisazione di deviazioni durante le giornate, con però dei vantaggi a parer mio considerevoli: 1) se non avete un piano internet all’estero, come nel mio caso, non avete lo stress di dover mettervi a cercare un posto per dormire nel tardo pomeriggio; 2) il mio periodo di viaggio coincideva con alcune vacanze nazionali sia in Irlanda che in Scozia: se avessi prenotato “alla giornata”, avrei dovuto accontentarmi di quello che avrei trovato, probabilmente dovendo modificare radicalmente i miei programmi di viaggio in base a dove avrei trovato da pernottare. Stesso discorso vale per i traghetti per le isole scozzesi: sono assolutamente da prenotare in anticipo; 3) alla sera, c’è sempre qualcuno che sa che dovreste arrivare in un determinato posto. Viaggiando da soli, questo si può rivelare un fattore positivo nel caso abbiate imprevisti durante il viaggio.
Sulla moto ho optato per montare appena prima della partenza delle gomme semi-tassellate, le classiche 80/20. Questo mi ha permesso di poter reggere le “schilometrate” autostradali e anche di effettuare del fuoristrada semplice, riuscendo anche a venir fuori da situazioni parecchio fangose come sull’isola di Islay. A posteriori, una scelta vincente. Per quanto riguarda me invece, la scelta dell’abbigliamento corretto è stata di vitale importanza per un viaggio del genere. Durante il primo giorno di viaggio, l’attraversamento dell’Europa in direzione Irlanda, ho affrontato una escursione termica di 35 °C, una situazione decisamente fuori dal comune: eppure ero in una situazione di comfort durante tutta la giornata. La chiave è un abbigliamento modulare, assolutamente imprescindibile per questo tipo di viaggi. Avrete inoltre notato che non ho parlato di pioggia in pratica: questo perché, caso più unico che raro, non ho mai trovato tempo piovoso, se non qualche sparuta goccia a tratti. Difficile da ipotizzare all’inizio a queste latitudini: motivo per cui insieme al completo in Gore-Tex® che indossavo, ho sempre portato con me una tuta antipioggia aggiuntiva, messa nella valigia in una area di facile accesso. Piccola nota addizionale a cui ho prestato attenzione quando ho distribuito il materiale fra le valigie a destra e a sinistra: considerate che in Irlanda e in Regno Unito viaggerete sulla corsia sinistra, motivo per cui potrebbe a volte rivelarsi più comodo caricare nella valigia sinistra oggetti di rapido accesso.