Ore 03:54 del mattino, anzi, della notte. Mancano 6 minuti alla sveglia ma ho già gli occhi aperti. Cosa faccio, un sabato di fine agosto, con la sveglia puntata alle 4? La colpa è tutta dei miei amici fanatici, che cercano anche di farmi passare per quello ‘delicato’. “Andiamo in montagna a vedere l’alba!” dicevano, “sarà divertente!” dicevano. Sarà anche divertente, ma per me alzarsi alle 4 è una pena, e un po’ glielo faccio pesare. Ad ogni modo, ad accettare l’invito sono stato io e ora sono cavoli miei.
5 e mezza a quel bar fuori Bassano, s’è detto. E allora via, in piedi, non faccio nemmeno colazione per risparmiare tempo e perché a quest’ora non ne ho voglia. Lavaggio denti e vestizione in un quarto d’ora e sono in moto. La mia SV1000 si avvia senza incertezze, il fanale è regolato un pelo alto ma tutto sommato così illumina alla grande e non mi dispiace. Da casa sono in un attimo sulla statale e via verso le montagne. Un’ora e qualcosa più tardi arrivo al distributore all’imbocco della Valsugana, grazie al cielo qualcuno ha pensato che fosse una buona idea far aprire il bar annesso alle 5, così posso ristorarmi con cappuccio e cornetto in compagnia di Carlo che arriva subito dopo di me. I promotori dell’iniziativa sono immancabilmente in ritardo, mannaggia a voi.
Mi spunta finalmente il sorriso qualche minuto più tardi, quando sento avvicinarsi l’inconfondibile latrato rauco del V4 Aprilia con il suo quick shifter che in scalata fa una libidinosa doppietta automatica. È Luca con la sua stupenda Tuono, disegnatore del giro di oggi, seguito a ruota da Jurgen ed Enrico. Il gruppo è riunito dopo anni, l’ultimo ritrovo risale, credo, al 2019. Dopotutto, non avrei potuto mancare.
Pieno raso per tutti e partiamo in direzione nord. Statale fino a Civezzano, poi deviazione e si sale per Balsega di Pinè e si ridiscende fino a Cembra. Qui inizia il divertimento. La val di Cembra è una spettacolare serpentina d’asfalto, larga, regolare e senza grandi pendenze. Curve ampie che con una sportiva sono una goduria, inframezzate da rettilinei più o meno lunghi, sembra di stare in un autodromo. A quest’ora poi, è completamente sgombera. Proseguiamo fino a Cavalese, dove il ritmo si spezza e svoltiamo a destra verso passo Manghen. Quella del Manghen è una strada ripida, stretta e tortuosa, cara e nota agli amanti degli sport a motore perché è dagli anni ’70 una delle mitiche prove speciali del rally di San Martino di Castrozza. Pensare che cinquant’anni fa era percorsa in auto a tutta velocità, di notte e sterrata, fa venire i brividi. I brividi in realtà ci vengono in ogni caso, ma per la temperatura. Per essere il 20 di agosto è decisamente fresco e per la verità il meteo non è dei migliori. A dirla tutta, questa gran alba non c’è stata ma ormai poco importa.
La strada del Manghen sale tra i pini, qui è ancora ben visibile la distruzione portata dalla tempesta Vaia nell’autunno 2018, si distinguono chiaramente alcuni fianchi delle montagne spogli e altri ove gli alberi caduti non sono ancora stati rimossi. Tra tornanti stretti, curve e controcurve si sale fino a 2.047 metri sul livello del mare. La guida qui con moto sportive in realtà non è spettacolare. Il nastro d’asfalto è lento e contorto, potrebbe essere di certo più divertente a bordo di un leggero motard ma tant’è. Guido rilassato e mi godo il momento pensando ai pionieri dei rally italici che valicavano questi monti tanti decenni or sono a bordo di Fulvia HF, Alpine, Fiat 124 e compagnia. Il cielo è coperto e tira un vento forte, da queste parti siamo ampiamente sotto i 20°C, direi più attorno ai 10 in effetti. Fortuna che con l’abbigliamento sono stato previdente. Giacca in tessuto con sopra guscio impermeabile da rimuovere rapidamente nel caso dovesse spuntare il sole; per le gambe calzamaglia di media pesantezza e jeans tecnico con protezioni. L’unico appunto che faccio a me stesso è per la scelta dei guanti: avevo inizialmente ben pensato di partire con un guanto pesante e di portarne con me un paio di leggeri, ma appena prima della partenza alle 04:00, a mente poco lucida, ho cambiato piano lasciando a casa quelli più caldi. La lezione che mi impartisco da solo è la seguente: quando ci si muove a orari “strani” come questo, non rivedere decisioni prese il giorno prima a mente fredda. Approfitto dei silenziatori della SV che si dimostrano ottimi anche come stufa.
Più opportuna potrebbe essere una sosta al rifugio che sta subito sotto al passo, so per esperienza pregressa che qui si mangia bene, ma in fin dei conti sono le 8 del mattino e un piatto di canederli a quest’ora sarebbe forse poco opportuno, oltre che non disponibile. Il cielo poi promette pioggia, quindi preferiamo non aspettarla e muoverci giù per l’altro versante. Ma non prima di aver scattato le foto di rito sulla piazzola d’atterraggio per gli elicotteri, è la nostra piccola tradizione, ci tratteniamo tuttavia poco anche perché il vento è veramente poderoso e la pausa non è idilliaca. Discesa fino a Telve, da questo lato la strada parte dalla cima ancora stretta e tortuosa, ma scendendo verso il fondovalle si ingentilisce e s’allarga diventando più piacevole. Tra Telve e Strigno incrociamo la statale SS47 della Valsugana, la stessa che abbiamo percorso in senso inverso qualche ora fa, e poi di nuovo su verso Castello Tesino e passo Brocon. Qui la sede stradale è decisamente più ampia e la salita verso i 1.616 metri è più godibile. I tornanti e tutte le pieghe sono più larghi, la guida di una moto sportiva qui è decisamente altra cosa rispetto al Manghen. Ma attenzione, discorso valido solo salendo da questa parte, perché poi a scendere verso Canal San Bovo si stringe ancora e per tenere un passo allegro è richiesto un certo impegno. Poco male, ci scaldiamo almeno le mani.
L’ultima scalata prevista per la giornata è quella al monte Grappa. Lo saliamo dal versante meno trafficato, quello nord lungo la SP148, dopo aver percorso la SR50 per Lamon. Dalla cima la vista verso la pianura è spettacolare, il vento forte ha pulito l’aria che ora è pulita e tersa. Si vedono come fossero a due passi Venezia con la sua laguna e il mare Adriatico, poi, da sinistra a destra dal Friuli alla Lombardia, con in mezzo Montello e i colli Asolani in provincia di Treviso, gli Euganei in provincia di Padova e i Berici in provincia di Vicenza. Il Grappa è poi una montagna ricca di storia, teatro dei tristi avvenimenti della prima guerra mondiale, ma merita una vista il monumentale sacrario militare che sta sulla cima dedicato ai caduti italiani e austriaci. Tutto il massiccio è in realtà degno di essere esplorato, è colmo di angoli segreti e scorci nascosti, a volte raggiungibili tramite strade sterrate che oggi, per le moto che guidiamo, ci sono preclusi. Sparsi qua e là si attraversano piccoli borghi come S. Giovanni e Il Lepre, che si sviluppa attorno all’omonima osteria, che quando li vedi ti domandi come facciano ad esistere ancora luoghi così. Sembrano usciti dal 1800, puri e inalterati se non fosse per qualche automobile parcheggiata qua e là nelle corti delle fattorie. A S. Giovanni è interessante il ‘piccolo museo della Grande Guerra’, niente altro che una stanza piena di cimeli e ritrovamenti saltati fuori da trincee, boschi e prati in un secolo di ricerche. Si trova all’interno dell’albergo ristorante S. Giovanni, dove peraltro si mangia da dio.
Anche qui sul Grappa meriterebbe fermarsi per una pausa gastronomica fatta come si deve, ma sono appena le 11 e l’ora e mezza richiesta per tornare a casa suggerisce di rientrare, sfruttando il vero vantaggio della levataccia: quasi 500 km di guida ma sarò a casa per pranzo, con il resto della giornata libera. Baci e abbracci con i ragazzi, tornare a girare assieme su strada dopo tanto tempo è stata una gioia. In fin dei conti, anche se non c’è stata l’alba spettacolare in cui speravamo, indipendentemente dal meteo e dalle strade, quello che conta maggiormente è una compagnia di qualità. Di quelle che anche in corsa ti capisci ad uno sguardo, anche con la visiera scura, e che ad ogni pausa ti diano motivo per ridere o sorridere. Da Bassano del Grappa ora è tutta strada statale, io e la SV siamo a casa sani e salvi.
Preparare un giro come questo è semplice, dato il numero di ore limitato che si trascorre lontano da casa. La già menzionata partenza alle 4, con rientro attorno alle 13. In una giornata di meteo imprevedibile come questa di sabato 20 agosto, l’unico vero elemento cui fare attenzione sono appunto le condizioni atmosferiche. Fosse stata una normale e calda giornata estiva, ci sarebbero state molte meno variabili in gioco. È stato quindi necessario vestirsi come fosse primavera, o autunno, con la già menzionata giacca in tessuto e l’aggiunta dell’impermeabile, tenuto addosso per la maggior parte del giro. Ai piedi stivali sportivi, Dainese Axial D1 per l’esattezza, soluzione da me preferita per i giri in moto ‘veri’, in quanto offrono realmente il massimo della sicurezza disponibile sul mercato ma al tempo stesso sono comodi e leggeri come scarpe da ginnastica. Sono un po’ fanatico rispetto la protezione dei piedi e delle caviglie, che vengono costantemente poggiati a terra e spesso senza grazia, quindi cerco sempre il massimo del supporto e della solidità. Obiettivamente sarebbe stata adeguata anche una scarpa tecnica o uno stivale meno estremo, ma appunto il comfort degli Axial è talmente alto che non mi fanno assolutamente rimpiangere una qualsiasi soluzione differente. Per le mani la scelta è ricaduta su un guanto corto sportivo in pelle, ma per buona parte del giro ho sofferto il freddo, sarebbe stato opportuno avere con sé un secondo paio di ricambio, più pesante. Casco come sempre integrale, e vista la partenza con il buio doppia visiera: prime ore con quella trasparente, da metà mattina in poi con quella scura.
Nulla di particolare da segnalare rispetto la preparazione della moto. Per tutto il giro ho tenuto in spalla uno zaino specifico da moto, non il massimo in quanto a comfort, ma comodissimo per riporre qualsiasi oggetto, e guidando sempre seduti non è minimamente d’impaccio. Lì dentro ho tenuto la seconda visiera, portafoglio e documenti, qualche snack e una bottiglietta d’acqua; tolto l’impermeabile, ci è stato dentro anche quello senza problemi. Valide soluzioni alternative sarebbero state una borsa da serbatoio o una sacca da legare al posto del passeggero.