Diciamo subito che questo del rumore è un argomento che divide i motociclisti, perché c'è chi adora lo scarico libero e chi invece lo detesta, soprattutto se gli piomba nelle orecchie nel posto sbagliato tipo la città, o all'ora sbagliata come alle tre di notte quando sta dormendo. Io credo però che siamo tutti d’accordo su una cosa: il fascino della moto sta anche nella sua sonorità, e quella che esce dall'impianto di scarico, legittima o eccessiva che sia, per noi è musica.
Ciascun motociclista ha la sua colonna sonora preferita e tutte sono piene di pathos. Ho imparato a classificarli e riconoscerli tutti fin da ragazzino, gli accordi della nostra musicalità: il borbottio del bicilindrico e il tono basso, così pieno e armonioso, del tre cilindri; il rombo del quattro in linea che mi ha sempre emozionato, come anche il vocione rauco del V4; trovo rilassante il ritmo sonnacchioso del monocilindrico turistico e ogni volta mi cattura quello secco del mono più spinto.
Vi è mai capitato di ascoltare il concerto delle sirene del sei cilindri? E non vi è rimasta nelle orecchie la sinfonia del due tempi, magari quella delle potentissime 125 degli anni Novanta? Che meraviglia! E forse sono un po’ anzianotto, ma nel mio archivio sonoro colleziono persino la cantilena della Lambretta di una volta e la tosse delle prime Vespe. E non finisce qui, perché ci sono anche i suoni di fondo, come il respiro affannoso di certe aspirazioni, i ticchettii delle valvole del V7 Guzzi e lo sfarfallio metallico delle frizioni a secco delle Ducati.
Ai suoni ci si affeziona, come ai profumi o ai colori. Io ero innamorato del canto della mia prima vera moto, una Morini 125 Corsaro bianca e rossa, Bellagio-Como con le orecchie per terra come si diceva allora, casco a scodella e niente guanti perché non c'era una lira. Scampato per miracolo.
Altri motori sono finiti nel mio archivio delle musiche indimenticabili, dal 750 Laverda SFC al possente boxer BMW 1000 che pare un aereo. Oggi la sonorità che preferisco è forse quella del grosso Ducati ai medi e alti regimi: è un vocione un po' al limite per quanto riguarda i decibel, ma è un coro così pieno, limpido ed emozionante da sfiorare la perfezione.
Ma la sinfonia divina per me resta quella della Suzuki RG 500, quattro cilindri due tempi da gran premio; mi riferisco alla prima serie per i piloti privati, quella del '76 che crepitava quando la scaldavi e poi miagolava. Più avanti, a metà stagione, i quattro terminali a spillo vennero sostituiti da altrettanti silenziatori, e fu un delitto.
Quell'anno la Federazione Motociclistica Internazionale combinò il pasticcio: "D'ora in poi - decise qualche burocrate più realista del re - tutte le moto da GP devono essere silenziate". Da un giorno all'altro fummo costretti a provvedere, e alla prima corsa (il GP del Belgio del 5 luglio a Spa) mi ritrovai con quattro brutte lattine in cima agli spilli, mille giri in meno in sesta e una rottura quasi immediata, perché con le espansioni e i flussi dei gas non si improvvisa.
Grazie a quei limiti assurdi la MV Agusta e i motori a quattro tempi finirono fuori gioco e, mentre la F1 seguitava imperterrita a rombare, il motociclismo si accontentò di balbettare. Fino alle MotoGP di oggi, finalmente urlanti come si deve: qui non c’è discussione, una moto da corsa deve suonare forte.