Giacomo Agostini, bergamasco classe ’42, è il pilota più vincente della storia del motociclismo. Eppure, in tanti non sanno che la più splendente carriera di sempre nacque con un fraintendimento, un piccolo inganno che garantì al Giacomo diciottenne il permesso del padre per correre. Quindici titoli iridati e 123 vittorie che, senza questo qui pro quo, forse sarebbero finiti nelle mani di qualcun altro.
«Non sono nato in una famiglia di motociclisti, ma la passione per le due ruote è nata con me. A 18 anni si poteva iniziare a correre solo con il consenso dei genitori. Mio padre non voleva firmare l'autorizzazione, ma un giorno eravamo da un suo amico notaio il quale lo convinse affermando che un po’ di sana attività fisica non avrebbe potuto farmi che bene. Il punto era che lui aveva capito che io volessi correre in bicicletta, anziché in motocicletta!
Superato il primo scoglio, per iniziare a correre dovevo ovviamente procurarmi una moto. Mio padre, essendo contrario e ritenendo questo sport pericoloso non me la comprò. Mi rivolsi al concessionario Moto Morini di Bergamo, che mi propose un Settebello con l'impegno di pagarla a rate mensili.
Fu così che nel 1961 iniziai la mia carriera arrivando subito secondo in una gara in salita, la Trento-Bondone.
In quel periodo i miei idoli erano Carlo Ubbiali e Tarquinio Provini, e sognavo un giorno di poter essere come loro.
Considerato che non ebbi l'aiuto dei miei genitori e dovetti fare tutto da solo, posso dire che fortunatamente me la cavai abbastanza bene.»
Giacomo se la cavò piuttosto bene, ma anche lui, come i piloti di oggi, ha e ha avuto le sue grandi o piccole superstizioni. Quella della maglietta gialla è una di quelle che ha aiutato, almeno per un periodo, il pilota bergamasco a fare incetta di vittorie. Una semplice maglia gialla, un dettaglio radioso in un mondo che era ancora dominato dai colori scuri.
«Si correva con le tute nere, e un giorno pensai di mettere sotto la tuta una maglietta gialla con un po' di collo, sotto il nero il giallo risaltava e pensavo facesse più figo. Vincendo di frequente e pensando mi portasse fortuna la indossavo ad ogni gara.
In occasione di un GP fuori dall’Italia mi accorsi di averla dimenticato a casa. Non avendo il mio portafortuna, prima della partenza ero preoccupato. Vinsi la gara nonostante non indossassi la maglietta portafortuna. Pensai allora che non fossi indispensabile, ma visto che il giallo mi donava continuai a portarla.
Terminata la mia carriera la buttai essendo ormai consumata e con qualche buco. Ma dopo la morte di mio padre la trovai in un suo cassetto lavata e stirata. Con grande gioia ora è tra i miei cimeli.»
Due aneddoti che donano umanità ad un campione considerato inavvicinabile, dall’alto dei suoi record ancora imbattuti dopo più di quarant’anni. Episodi come quello di Imola del ‘74, quando Ago si trovò a versare lacrime a pochi metri da traguardo, che svelano un lato sconosciuto ai più, che va oltre le coppe, i successi e i riconoscimenti sportivi.