Classe 1990, ho sempre amato il mondo delle moto. Fin dai 12 anni ho iniziato a sfogliare riviste e brochure alla ricerca della moto dei miei sogni. Da quando ho finalmente potuto sedermi sul mio primo mezzo “serio”, una Aprilia Tuono 50, ne ho sempre avuta almeno una in garage. Fin dalla mia primissima avventura – il giro completo del lago di Como – il viaggio in moto rappresenta per me una parte imprescindibile della mia vita: un modo per conoscere e conoscersi, esplorare ed esplorarsi, vivere vivendo.
È finalmente arrivato il giorno da cerchiolino rosso sul calendario, quello della partenza. Come sempre, eccitato come un bimbo il giorno della gita scolastica, mi sveglio prima del previsto. Mi vesto “a strati” per una giornata che si preannuncia estrema in termini di temperature massime e minime che affronterò, e scendo a caricare la mia KTM. L’aria sembra pervasa da un profumo di ginepro: probabilmente immaginato, memore delle numerosissime partenze notturne da/per la Sardegna. Reale o meno, è comunque l’inconfondibile profumo delle vacanze che iniziano. Alle 4:30 si parte: fra circa 12 ore dovrei essere nei dintorni di Auxerre, Francia.
Percorro i miei primi chilometri attraversando la Val Venosta e il Parco Nazionale Svizzero, dove già ho modo di apprezzare la bontà dell’abbigliamento tecnico che indosso: temperatura costante compresa fra –8°C e -11°C. Da qui, proseguo verso una delle esperienze più pericolose che abbia mai fatto in “sella” ad una moto: l’attraversamento del tunnel Vereina, che permette di evitare il Flüelapass, ancora non percorribile. Nel concreto, immaginatevi un treno merci, voi ci caricate la moto sopra senza nessuno che vi dica cosa/come fare, e sulla moto o in piedi o a lato - non ho capito quale sia la strategia migliore - aspettate pazientemente che in 18 minuti, a circa 100 km/h costanti, il treno vi porti da un lato all’altro della montagna. Esperienza assolutamente da provare!
Proseguo l’attraversamento della Svizzera costeggiando prima Zurigo e poi Basilea, fino ad entrare finalmente in Francia. Da qui, sulla mia sinistra, guardando verso Sud, mi accompagnano le ultime cime delle Alpi che fra poco saluterò definitivamente. I chilometri sull’autostrada francese, molto economica per noi motociclisti, passano uguali l’uno all’altro, con l’eccezione di un incontro particolare: la mia strada si incrocia con quella di una bellissima Opel Omega Lotus (chi sa, sa), con cui scambio qualche sorpasso e qualche fugace sguardo – soprattutto da parte mia – di approvazione (e invidia). Fortunatamente il lunedì di Pasquetta non ha influito troppo negativamente sulle mie stime di tempo, il fatto quindi di essere vicino alla mia meta ad un orario molto ragionevole mi spinge ad uscire dall’autostrada e ad avventurarmi un po' fra le campagne della Borgogna per raggiungere la mia meta di giornata. Strade secondarie, brevi tagli fuoristrada, cieli blu che contrastano magnificamente con campi di colza giallissima, 23°-24°C – fate voi i conti dell’escursione termica affrontata durante la giornata –, chilometri che passano con il cuore pieno di gioia fino al piccolo borgo di Neuilly, il mio traguardo parziale: iniziare meglio sarebbe stato difficile.
Sveglia prima dell’alba e si parte: come sempre, quando devo imbarcarmi su una nave, preferisco muovermi con ampio margine di sicurezza. Cosa che, però, ha i suoi lati positivi nel regalarmi momenti di rara bellezza. I bellissimi paesaggi del giorno precedente, ancora coperti dall’umidità della notte, vengono inondati di luce dal sole che, pigramente, fa capolino all’orizzonte. In strada, solo io e la mia moto. Momenti che danno un significato diverso della parola “viaggio”. Quando il sole è già abbastanza alto e il traffico sulle strade secondarie si intensifica, mi reimmetto in autostrada, direzione Nord.
Se è vero che tutte le strade portano a Roma, è altrettanto vero che tutte le (auto)strade francesi portano a…Parigi! Quindi, per raggiungere le coste della Normandia, precisamente Cherbourg, da dove partirà il mio traghetto direzione Irlanda, devo passare obbligatoriamente dalla capitale francese. Il che accade nell’ora di punta della mattina, fra le 8 e le 9: cresciuto nella giungla delle tangenziali milanesi non mi lascio spaventare, ma anzi mi diverto a notare dei fenomeni social-antropologici piuttosto interessanti: 1) il traffico è estremo (e ve lo dice un milanese). Le strade che circondano Parigi sembrano più un enorme parcheggio esteso in lunghezza, ma 2) c’è un grande rispetto per chiunque viaggi su un veicolo a due ruote; 3) questo sostanzialmente permette un “filtering” piuttosto radicale: di fatto, basta mettere le 4 frecce, ed è assolutamente normale procedere a 60/70 km/h fra le colonne di auto. Personalmente, mi sono sempre messo in coda a qualche locale, non volendo rischiare oltremodo di interrompere il viaggio anzitempo. Preso dal flusso del traffico, ormai quasi superata Parigi verso Nord-Ovest, mi infilo inavvertitamente in un tunnel che scopro poi essere vietato alle moto. Ed una volta all’interno del tunnel, mi è immediatamente chiaro il motivo: mi trovo a viaggiare con la testa abbassata per passare sotto i cartelli! Decisamente un’esperienza particolare… a mo’ di monito, si tratta del tratto di strada fra Velizy e Rueil, altezza massima consentita 2 metri.
Da qui in poi i chilometri in autostrada passano veloci, man mano che mi sposto verso nord e verso l’oceano percepisco l’influenza del clima atlantico che rinfresca piacevolmente l’aria. Come ieri, mi trovo in anticipo sulla mia tabella di marcia: ormai in vista di Cherbourg, mi permetto quindi una deviazione non prevista sulle coste teatro del D-Day: luoghi dal valore storico eccezionale come Omaha Beach e La Pointe du Hoc. Posti da ammirare in religioso silenzioso, che incutono un timore reverenziale al solo vederne i nomi sui cartelli stradali. Trascinato da un vortice di pensieri agrodolci suscitati dalla visita di queste coste, arrivo al porto di Cherbourg: lascio indietro i pensieri più “agri” trangugiando un panino con vista sulla nave che domani mi porterà in Irlanda. Da qui, ormai, non si torna indietro.
Dopo la notte passata piuttosto comodamente sui divanetti della nave, sono il primissimo a sbarcare: già a cavallo della moto osservo il ponte che lentamente si abbassa, facendo filtrare i primi raggi solari. Pochi secondi dopo sono il primo passeggero a mettere le mie ruote sul suolo irlandese. Come una sorta di reazione involontaria, mi accorgo, come ogni volta, che sorrido sotto il casco: c’è sempre una soddisfazione particolare nel fare una traversata marittima e trovarsi, in moto, in luoghi a migliaia di chilometri da casa, che per i molti giorni dedicati alla pianificazione del viaggio sono stati solamente immaginati.
Da Rosslare, dove sono sbarcato, taglio tutto il Sud dell’Irlanda fino a Limerick (circa 200 km), da cui poi seguirò il percorso della Wild Atlantic Way verso Nord. Un tratto che non riserva grandi emozioni, se non per qualche breve momento: qui In Irlanda i limiti di velocità sono piuttosto elevati in relazione al tipo di strade (80/100 km/h per strade decisamente rurali). La sensazione di ogni tanto trovarsi al TT è pertanto tangibile, ma la presenza di animali e relativi escrementi, trattori, cancelli e similari, invita comunque alla cautela.
Mi rendo comunque presto conto che le strade mi sembrano un po' troppo trafficate per come ricordavo essere l’Irlanda: risolvo il dubbio ad una pausa benzina, dove l’addetto della stazione di servizio mi conferma che la sensazione è corretta. Tutte le scuole sono chiuse per le vacanze pasquali, con la conseguenza che migliaia di famiglie irlandesi ne approfittano per visitare le diverse bellezze della nazione. Benedico il fatto di aver prenotato in anticipo tutti gli ostelli/B&B che mi ospiteranno oggi e nei prossimi giorni.
Probabilmente proprio per via del troppo traffico non riesco veramente a godermi questa prima giornata irlandese: in strada un sacco di auto, e ogni luogo degno di sosta completamente preso d’assalto da decine di persone. Persino alle celeberrime Cliffs of Moher non mi fermo che per una quindicina di minuti, andando via sorpreso dal fatto che tratti di costa anche più incantevoli di questo (visti nel mio viaggio in Irlanda, sempre in moto, di 4 anni fa) non siano a volte quasi nemmeno riportati sulla cartina. I miei primi 200 km di costa irlandese si concludono a Galway, con purtroppo più delusioni che soddisfazioni. Ma con la speranza che domani sarà una giornata diversa.
Facendo attenzione a non svegliare la camerata dell’ostello nelle fasi di vestizione – ho scoperto di avere un talento degno di un ninja in questa particolare specialità – mi rimetto in strada di nuovo abbastanza presto, con l’intento di evitare per più tempo possibile il traffico infernale che ha condizionato la mia giornata precedente.
Già dopo la prima cinquantina di km, mi rendo conto che questa sembra essere una giornata ben diversa dalla precedente. I numerosi resort e campi da golf che costeggiavano le strade percorse ieri (incluso il lussuosissimo hotel di Donald Trump affacciato su Doughmore Beach), diventano oggi degli sparuti cottage dal tetto di paglia, i verdi pascoli irlandesi sono punteggiati di pecore e non più di mucche. Un bambino dai capelli rossi, richiamato dal rombo del mio due cilindri, si gira al mio passaggio e mi saluta eccitato. Si, direi che questo è il primo sprazzo di Wild Atlantic Way per come me la ricordavo.
Questo pensiero diventa certezza quando arrivo a Gurteen Bay: spiaggia oceanica di sabbia bianca, finissima, mare cristallino, con un cimitero a pochi metri dal bagnasciuga. Il vento che increspa le onde e, fra queste, una coppia di delfini che ogni tanto emerge dall’acqua: termometro del “pittoresco” a valori decisamente fuori scala, e siamo solo alle 11 del mattino.
Continuando il mio itinerario verso Nord, da Clifden mi immetto nel “Connemara Sky Loop”, una breve (circa 7 miglia) strada panoramica che obbliga alla sosta – vi assicuro che odio fermarmi ogni 3x2 – praticamente ad ogni curva o collinetta: paesaggi da lasciare senza fiato con vista sull’oceano o, più in generale, sulla costa, si dischiudono dietro ad ogni angolo o sali-scendi. 7 miglia che già da sole varrebbero quasi il viaggio, e il termometro del “pittoresco” che sale di nuovo…inizio a chiedermi fino a dove potrà arrivare oggi!
Con ancora questa fantastiche cartoline stampate nella mente, arrivo in vista di Omey, isoletta a poca distanza dalla terraferma. Tanto che, con le attuali condizioni di bassa marea, non è più nemmeno isola: vedo infatti un paio di trattori attraversare l’oceano (letteralmente), raggiungendo l’isola sulle proprie ruote. Pondero bene la situazione, andando a controllare a piedi: si, la sabbia è chiaramente molto bagnata e un po’ cedevole, qua e là ci sono delle pozze di acqua marina, io non ho certo degli pneumatici da fuoristrada spinto, e la moto è carica e quindi piuttosto pesante, ma… quando mai mi ricapiterà di guidare una moto sul fondo dell’oceano? Quindi in sella e viiiaaa! Salpo (?) direzione isola Omey, per una delle esperienze di guida più suggestive che abbia mai fatto; ritorno sulla terraferma per la stessa via, con la moto e i bagagli pieni di sabbia e acqua di mare (il sorrisone sotto il casco si può immaginare facilmente).
Riprendo la mia marcia, sperando per la prima volta da quando sono qui di prendere presto un bell’acquazzone, in modo da dare una lavata al tutto. Quando fanno capolino all’orizzonte i rilievi montuosi del Connemara National Park, insieme a qualche nuvolona grigia, penso che la “doccia” arriverà presto e invece vengo puntualmente smentito dal sole che rispunta sornione dalle nuvole. Poco male, ne sfrutto la presenza per guidare attraverso tutto il Killary Fjord, un bellissimo fiordo che mi ricorda i paesaggi islandesi, confine naturale fra le contee di Galway e di Mayo.
Cambia la contea, ma non lo spettacolo del paesaggio attorno a me: raggiungo la spiaggia di Carrownisky, mecca del surf locale, dopo un piccolo fuoristrada (fatto appositamente per ripulire con qualche guado di acqua dolce la moto, ci si può arrivare anche tramite strade asfaltate) e rimango letteralmente paralizzato dalla bellezza del luogo: una spiaggia di una grandezza sterminata, le onde che a perdita d’occhio montano l’una sull’altra, il vento che, tolto il casco, fa assaporare il delicato sapore della salsedine oceanica sulle labbra. Momenti in cui c’è solo da sedersi, guardare la moto a lato, e godere del tempo che si sta vivendo.
Nonostante il bel momento, ho ancora però circa 130 km da fare per arrivare all’ostello già prenotato sull’isola di Achill, che ho intenzione di esplorare prima di raggiungere l’ostello, anche per sfruttare l’atmosfera data dal sole calante. Ad andatura piuttosto spedita mi dirigo quindi verso l’isola, costeggiando luoghi incantevoli come ad esempio Croagh Patrick, ma… a questo punto del racconto della giornata ho finito gli aggettivi. Achill Island, le sue coste, le sue strade a picco sull’oceano, i suoi pascoli, i suoi villaggi, valgono un viaggio in Irlanda. Senza se e senza ma: volete vedere la Wild Atlantic Way, uno spaccato più che autentico dell’Irlanda “vera”? Dovete venire qui. Il termometro del “pittoresco” è completamente fuori scala, mi faccio cullare dalle curve della strada verso l’ostello mentre il sole si tuffa nell’oceano e penso, canticchiando la famosa canzone degli 883, che “basta un giorno così”.
Dopo aver messo di nuovo alla prova le mie abilità ninja per lasciare l’ostello, riparto dalla bellissima (sì, lo ripeto) Achill Island, con obiettivo finale di giornata Donegal – circa 500 km. I primi chilometri attraversano diverse torbiere, e il paesaggio è un po’ noioso. Che non sia un posto di grande passaggio lo capisco dovendo fare rifornimento. Quasi rimasto a secco, l’unica pompa aperta H24 che trovo ha 6 pompe per il gasolio e solo 2 per la benzina, i terminali per poter fare rifornimento con carta di credito/debito disponibili esclusivamente sulle pompe di gasolio. Non ho alternative, devo aspettare che apra l’impianto alle 8:30, ne approfitto quindi per fare una colazione abbondante a base di formaggio locale che mi porto dietro dal giorno precedente.
Una volta rifornito me stesso e la moto, mi dirigo deciso verso il promontorio di Erris Head. Una zona di scogliere molto suggestive, che consiglio soprattutto se qualcuno voglia avventurarsi a fare qualche escursione a piedi. In moto non ha moltissimo da offrire, se non qualche scorcio interessante nella penisola immediatamente a sud del capo vero e proprio.
Il tratto costiero veramente imperdibile è invece quello che si trova ad est di Erris Head: Downpatrick Head, con la sua celeberrima roccia simbolo della contea di Mayo, vale assolutamente lo stop e il tempo di fare fotografie da varie e diverse angolazioni. Il tutto mentre al di sotto di voi, a picco sull’oceano che sfuma dal verde al blu, le onde si infrangono rumorosamente su scogliere accessibili solo a spericolati volatili che qui costruiscono i loro nidi.
Risalito in moto, non più scogliere, ma una bellissima spiaggia mi aspetta poco più ad est: Lackan Bay, esaltata anche dalla presenza della bassa marea, si presenta come un’enorme distesa di sabbia che inviterebbe anche a qualche scorribanda motoristica, ma in questo caso, a differenza di ieri, prevale la ragione. Mi accontento di qualche foto, e mi rimetto in viaggio per abbandonare definitivamente la contea di Mayo ed entrare in quella di Sligo.
In molti dicono che, quando c’è il sole (ma questo è un “problema” di tutta l’Irlanda), Mayo sia la contea più bella dello Stato. Che dire, per ora non posso che concordare. I chilometri della costa della contea di Sligo hanno poco da offrire, probabilmente anche perché l’itinerario (obbligato) segue più che altro quello della strada statale, da cui si possono fare poche deviazioni. Riservano qualche emozione - anche solo a vederla dalla strada - la famosa “montagna piatta” di Sligo (Benbulbin), e il promontorio di Mullaghmore, che vale la deviazione dalla strada statale.
Da qui sono solo una cinquantina di chilometri per raggiungere Donegal, e completo così il mio itinerario (per questo viaggio) sulla Wild Atlantic Way. 4 anni fa ne avevo coperto il tratto da Donegal verso nord, cosicché l’ultima frazione che mi rimane da percorrere di questa bellissima strada – sicuramente in un futuro molto prossimo - è quella più a sud, della zona di Cork. Domani infatti mi trasferirò in Nord Irlanda, per assistere alla National Road Race più antica del paese, la Cookstown 100, che proprio quest’anno festeggia i 100 anni dalla prima edizione. Essendoci già stato 4 anni fa, mi sento eccitato come un bimbo all’idea delle corse e di poter vivere ancora una volta quell’atmosfera unica che si vive alle road races. Una cultura lontana anni luce dal modo di intendere la moto da parte dei più, e in cui, ancora una volta, non vedo l’ora di poter immergermi.
Quando c’è una road race, l’intero paese ne è preso. Immaginatevi una atmosfera tipo da “Sagra della Salamella”, in cui però tutti, ma proprio tutti, sono coinvolti in qualche modo nell’organizzazione dell’evento. Ad esempio io ho approfittato del parcheggio offerto gratuitamente dalla chiesa presbiteriana di Cookstown: ho parcheggiato la moto, ho potuto cambiarmi con vestiti più comodi lasciando i miei bagagli in chiesa, e mi è stata offerta una colazione a base di salsicce irlandesi – tutto gratis. Con anche l’invito, se ne avessi avuta la necessità, di potermi fare una doccia in serata, prima di ripartire dopo la road race.
Dalla chiesa, mi avvio a piedi verso il “circuito”. La giornata è splendida, cielo blu, nessuna prospettiva di pioggia all’orizzonte: ottima notizia per piloti e spettatori. Dopo aver esplorato a piedi il “paddock” e valutato diversi luoghi, scelgo di posizionarmi sul rettilineo principale, poco dopo la linea di partenza/arrivo. Avrò il vantaggio di poter capire cosa succede, e veder sfrecciare le moto ad un paio di metri da me, a velocità che sorpassano agevolmente i 250 km/h. Non male, no?
Il programma prevede ben 14 gare, di diverse categorie – dalle storiche alle moderne Superbike. La giornata, e in generale questo tipo di giornate, sono odi agli dei del motociclismo. Ovunque si volga lo sguardo, la passione è vera e tangibile: di fatto, rimango sempre nello stesso posto, in compagnia di due attempati signori che fra una gara e l’altra mi danno consigli su come evitare le multe per eccesso di velocità in Scozia, che mi dicono essere piena di autovelox, e discutendo di moto e performance dei piloti “in pista”. Si è tutti una sorta di grande famiglia: non c’è persona che al primo giro lanciato non si sia messa a ridere guardando i vicini di posto, mentre in un battito di ciglia le moto comparivano e sparivano dalla vista; non c’è persona che alla vista di una bandiera rossa non trattenga il respiro per qualche secondo, sperando la causa non sia nulla più di un guasto tecnico; non c’è persona che non goda nel sentire il profumo degli scarichi di una 125 GP che, baldanzosamente, è schierata in griglia assieme alle più moderne -ma anonime – Moto3.
Circa 9 ore di corse passano così: senza neanche rendersi conto che si è stati in piedi, nello stesso posto, per tutto questo tempo – sono anche riuscito a scottarmi… in Nord Irlanda! La dimostrazione concreta della magia intrinseca di questi eventi.
Alla fine della giornata ritorno alla chiesa, mi rivesto e mi metto in strada per raggiungere il mio B&B di oggi, ad una cinquantina di chilometri da qui ed in posizione strategica per raggiungere in breve tempo l’imbarco per la Scozia domani mattina. Mentre in Irlanda ero già stato, da domani, in Scozia, sarà tutto completamente nuovo. E non vedo l’ora.
Mi rimetto in moto, non prima però che la proprietaria del B&B – di una gentilezza veramente rara - mi abbia preparato due enormi sandwich con prosciutto e formaggio, e mi abbia riconsegnato una buona pila di indumenti, che il giorno prima ha insistito per lavarmi ad ogni costo. Mi saluta calorosamente e quasi ad ammonirmi dice: “La Scozia è come l’Irlanda del Nord, ma con persone molto meno ospitali”. Dentro di me penso che il suo standard è rimpinzare gli ospiti di panini deliziosi e fargli il bucato (tutto gratis), credo che troverebbe inospitali molti luoghi del mondo.
Ora traghetto sul Mar d’Irlanda, poi Scozia...
Ora vi sarà sorta magari qualche domanda logistico/organizzativa, che provo ad anticipare nei prossimi punti.
Come pneumatici ho optato per un compromesso, una gomma da enduro stradale capace di reggere lunghe percorrenze su asfalto senza consumarsi troppo in fretta, ma che allo stesso mi permettesse le necessarie divagazioni fuoristrada. Come quella parecchio fangosa sull’isola di Islay. Forse ancor più importante in un viaggio così è la scelta dell’abbigliamento. Ho affrontato escursioni termiche anche di 35°C, decisamente fuori dal comune. Eppure sono riuscito a viverla nel massimo comfort, grazie all’abbigliamento modulare che ho scelto. Poter togliere o aggiungere strati rapidamente è la chiave per non patire il caldo o il freddo. Per pura fortuna non ho incontrato piogge importanti, ma in queste zone, in qualsiasi stagione è bene avere con sé un kit o una tuta impermeabile, anche se indossiamo un completo in Gore-Tex® o simili. È altresì importante che il suddetto kit sia posizionato in una borsa o zaino comodo da raggiungere. Piccola nota cui difficilmente si pensa in anticipo: in Irlanda e in tutto il Regno Unito si viaggia sulla corsia sinistra, è quindi comodo avere gli oggetti di uso più frequente nella borsa sinistra della moto, per non dover stare nel mezzo della strada in caso abbiate necessità di fermarvi.