DEMONEROSSO
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    Ogni motore sa trasmettere emozioni ed è impossibile dire quale sia la musica più bella

    Di Nico Cereghini | 09 febbraio 2021 | 1 min

    Diciamo subito che questo del rumore è un argomento che divide i motociclisti, perché c'è chi adora lo scarico libero e chi invece lo detesta, soprattutto se gli piomba nelle orecchie nel posto sbagliato tipo la città, o all'ora sbagliata come alle tre di notte quando sta dormendo. Io credo però che siamo tutti d’accordo su una cosa:il fascino della moto sta anche nella sua sonorità, e quella che esce dall'impianto di scarico, legittima o eccessiva che sia, per noi è musica.  

    Ciascun motociclista ha la sua colonna sonora preferita e tutte sono piene di pathos. Ho imparato a classificarli e riconoscerli tutti fin da ragazzino, gli accordi della nostra musicalità: il borbottio del bicilindrico e itono basso, così pieno e armonioso, del tre cilindri; il rombo del quattro in linea che mi ha sempre emozionato, come anche il vocione rauco del V4; trovo rilassante il ritmo sonnacchioso del monocilindrico turistico e ogni volta mi cattura quello secco del mono più spinto. 

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    Vi è mai capitato di ascoltare il concerto delle sirene del sei cilindri? E non vi è rimasta nelle orecchie la sinfonia del due tempi, magari quella delle potentissime 125 degli anni Novanta? Che meraviglia! E forse sono un po’ anzianotto, ma nel mio archivio sonoro colleziono persino la cantilena della Lambretta di una volta e la tosse delle prime VespeE non finisce qui, perché ci sono anche i suoni di fondo, come il respiro affannoso di certe aspirazioni, i ticchettii delle valvole del V7 Guzzi e lo sfarfallio metallico delle frizioni a secco delle Ducati.  

    Ai suoni ci si affeziona, come ai profumi o ai colori. Io ero innamorato del canto della mia prima vera moto, una Morini 125 Corsaro bianca e rossa, Bellagio-Como con le orecchie per terra come si diceva allora, casco a scodella e niente guanti perché non c'era una lira. Scampato per miracolo. 

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    Altri motori sono finiti nel mio archivio delle musiche indimenticabilidal 750 Laverda SFC al possente boxer BMW 1000 che pare un aereo. Oggi la sonorità che preferisco è forse quella del grosso Ducati ai medi e alti regimi: è un vocione un po' al limite per quanto riguarda i decibel, ma è un coro così pieno, limpido ed emozionante da sfiorare la perfezione. 

    Ma la sinfonia divina per me resta quella della Suzuki RG 500, quattro cilindri due tempi da gran premio; mi riferisco alla prima serie per i piloti privati, quella del '76 che crepitava quando la scaldavi e poi miagolava. Più avanti, a metà stagione, i quattro terminali a spillo vennero sostituiti da altrettanti silenziatori, e fu un delitto. 

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    Quell'anno la Federazione Motociclistica Internazionale combinò il pasticcio: "D'ora in poi - decise qualche burocrate più realista del re - tutte le moto da GP devono essere silenziate". Da un giorno all'altro fummo costretti a provvedere, e alla prima corsa (il GP del Belgio del 5 luglio a Spa) mi ritrovai con quattro brutte lattine in cima agli spilli, mille giri in meno in sesta e una rottura quasi immediata, perché con le espansioni e i flussi dei gas non si improvvisa.

    Grazie a quei limiti assurdi la MV Agusta e i motori a quattro tempi finirono fuori gioco e, mentre la F1 seguitava imperterrita a rombare, il motociclismo si accontentò di balbettare. Fino alle MotoGP di oggi, finalmente urlanti come si deve: qui non c’è discussione, una moto da corsa deve suonare forte. 

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