Forse non te la cambia, la vita. Ma di certo ti spinge a riflettere sulla tua e su quella degli altri. E ti fa amare ancora di più la moto, di qualsiasi cilindrata e marca. Ma meglio se adatta al fuoristrada, perché nel Paese del Corno d’Africa di asfalto ce n’è poco e quando c’è fa paura.
Ma la moto, mai come in questa mia avventura, è stato un mezzo, uno strumento bellissimo per entrare in contatto con una natura prepotente e rigogliosa e, soprattutto, con un popolo straordinario. Unico nella sua semplicità, generoso con i visitatori stranieri in sella a grosse e stravaganti moto. E giustamente fiero della propria storia millenaria.
Che l’Etiopia non sia una vacanza come un’altra lo capisci bene quando ti imbarchi nella complessità logistica dell’impresa. Mica puoi spedire la moto con DHL. Devi recuperare un container, allestirlo per il trasporto delle moto e poi inviarlo a Gibuti via nave: una vera odissea che dura mesi.
Lo stress si dissolve a Addis Abeba il giorno prima della partenza. Le moto sono arrivate appena in tempo! La grande capitale etiope, con tutte le megalopoli africane, richiede attenzione nella guida e un minimo di adattamento prima di prendere confidenza con le strade e il traffico del tutto particolari. Ci muoviamo con attenzione, scortati dai miliziani e con l’ambasciatore italiano che è sempre in contatto telefonico col mio gruppo. Dopotutto ci troviamo in una grande metropoli a noi completamente sconosciuta.
Tutti gli scrupoli ci abbandonano appena usciamo dalla megalopoli africana. Bastano pochi chilometri e ci troviamo immersi in una natura selvaggia, tra le maestose montagne della regione Amara. L’aria è rarefatta, viaggiamo costantemente oltre i 2.000 metri. Testa e cuore si abituano rapidamente agli altipiani, ai suoi abitanti e alla moltitudine di animali che costeggia le strade.
La mia endurona sale senza lamentarsi sulle montagne Semien. Siamo oltre i 4.000 metri, la vegetazione si dirada, ma sulla nostra strada incrociamo eremiti cristiano ortodossi e, verso il tramonto, centinaia di scimmie gelada baboons che sembrano volerci salutare, mentre attraversano la mulattiera e puntano la valle per abbeverarsi. Siamo passati dai 40 gradi del fondovalle ai 10 scarsi delle Semien. Piantiamo le tende e dormiamo in vetta, a quota 3.000 metri. Il nostro viaggio prosegue verso la regione del Tigrai. Passiamo il fiume Tacazzè, in cui sguazzano i coccodrilli e da cui nasce il maestoso Nilo Azzurro. Ci dirigiamo spediti verso Axum e Adua.
Non ci sono ristoranti o chioschi sulle strade, ma baracche improvvisate dove mangiare carne di agnello o di toro accompagnata da squisite focacce e da piccantissime salse. L’ospitalità degli etiopi è una costante del nostro viaggio, ma è il sorriso dei tantissimi bambini lungo il cammino che ci apre il cuore. Corrono nella polvere a perdifiato per salutarci e battere il cinque.
Non possiedono i beni materiali che a noi sembrerebbero così essenziali, ma sanno regalarci con semplicità il dono più bello: la felicità e la voglia di stare insieme. È una lezione profonda per tutti noi, figli di una società individualista e schiava del superfluo. Già pensiamo a quando tornare, con le valige della moto cariche di quaderni e di penne per questi piccoli meravigliosi.
La moto è lo strumento perfetto per scoprire queste montagne, abbatte ogni barriera tra noi, l’ambiente e le persone. Non va mai sottovalutato l’abbigliamento del motociclista. Deve essere ventilato per sopportare l’arsura della pianura con aree traforate estese e funzionali. Altrimenti 10 ore al giorno in moto diventano una tortura medioevale. Ma ti deve isolare dal freddo nelle prime ore del mattino. E ti deve proteggere: in fuoristrada si cade, succede, ma le cure sanitarie in Etiopia possono diventare un problema molto, molto grosso. Meglio prevenire.
Dopo quasi 3.000 chilometri di polvere, pietre e sudore, la D-Explorer 2 si è trasformata da semplice giacca a compagna fedele di un’avventura che mi resterà sempre nel cuore e sulla pelle come un invisibile tatuaggio. Apro l’armadio e la trovo lì, impolverata. Chiudo gli occhi e sono già in Africa.